Jim Jarmusch è l’ultimo dei registi indipendenti del cinema americano. Il suo è uno dei pochi casi di cinema intellettuale che però non vuol essere elitario, al tempo stesso rimane uno dei migliori esempi di attitudine punk nel mondo del cinema. Rimanendo controcorrente e controtendenza, contro le logiche e i circuiti mainstream riesce ad affrontare uno spettro di temi che non sono scontati, a portare avanti riflessioni sempre vitali in un modo cerebrale e filosofico che però non è mai escludente.
Non è facile parlare di tristezza, solitudine, incomunicabilità in modo ironico, leggero e non superficiale. È l’oggettività dell’occhio di Jim Jarmusch che avvicina lo spettatore alla soggettività dei personaggi.
Jim Jarmusch: di chi stiamo parlando
Epigone del cinema indipendente newyorkese Jim Jarmusch esordisce negli anni ‘80, da subito influenzato dal cinema europeo e giapponese, nonché dalla letteratura, l’altro suo campo d’interesse e di studio. Pur mostrando un’evoluzione di tecnica e di scrittura e affrontando una gran varietà di temi, non si distacca mai dal nocciolo primigenio.
Ci sono zone d’interesse che sono diventate col tempo punti fermi della sua poetica, elementi peculiari affrontati in maniera profonda e mai superficiale, ma anche con l’ironia che da sempre lo contraddistingue.
Jim Jarmusch decide di ambientare le sue storie sempre in posti minori, le province dimenticate o le zone suburbane. Le periferie post industriali sporche, criminali, quasi disabitate vengono mostrate con carrellate laterali, con soggettive impenitenti, con sguardi al di fuori di finestrini di treni in corsa. Il lavoro di svuotamento e demolizione operato da Jarmusch rende questi posti uno uguale all’altro, non c’è differenza se si tratta di Memphis, Detroit, Clevaland, New York o il New Jersey.
È la provincia americana che si rispecchia nel suo anonimato. La marginalità di questi luoghi accresce la sensazione di esistenze precarie, emarginate, considerate di second’ordine. Ed è interessante notare come anche quando decida di ambientare le storie in grandi città queste rimangano soltanto uno sfondo sfocato. Sono luoghi abitati da personaggi che intrattengono un rapporto logoro con la società ed è la loro solitudine che viene maggiormente evidenziata.
I personaggi jarmuschiani sono tutti outsider, dagli immigrati europei di Stranger than paradise ai vampiri di Solo gli amanti sopravvivono. Tipi strani, antisociali, fuori legge, degli animali notturni. Comunicano poco e, quando lo fanno, è attraverso dialoghi assurdi, surreali, criptici, in lingue straniere. La loro solitudine è una scelta di vita, o meglio una constatazione di uno status irrevocabile.
In una società sempre più corrotta, vivere al di fuori di essa è l’unica soluzione possibile per salvarsi dalla decadenza dell’intelletto e dalla perdita di integrità.
Anche la colonna sonora ricopre fin dall’inizio un posto particolare nel cinema di Jim Jarmusch. Dal jazz di John Lurie alla voce roca e profonda di Tom Waits, le collaborazioni di Jarmusch sono celebri. John Lurie, Tom Waits, Iggy Pop sono musicisti amici che sono diventati anche attori feticcio del regista.
Per Iggy Pop & The Stooges Jarmusch ha realizzato il documentario Gimme Danger proiettato fuori concorso al festival di Cannes 2016 e ora disponibile su Rai Play. Nel 1997 aveva già realizzato un altro documentario, Year of the Horse, su un’altra band seminale Neil Young & the Crazy Horse che curerà la colonna sonora di Dead Man. Lo stesso Jim Jarmusch appartiene alla scena new wave newyorkese e con il suo attuale gruppo SQÜRL ha curato la colonna sonora dei suoi ultimi film.
Quello che segue è un ideale percorso conoscitivo di un artista che frammenta se stesso in ognuna delle sue opere. Scopriamo i film da non perdere di Jim Jarmusch.
Con cosa iniziare: Taxisti di notte
Titolo: Taxisti di notte (Night on earth)
Anno: 1991
Durata: 129′
Interpreti: Gena Rowlands, Winona Ryder, Béatrice Dalle, Isaach De Bankolé, Armin Mueller-Stahl, Giancarlo Esposito, Rosie Perez, Roberto Benigni, Paolo Bonacelli, Matti Pellonpää, Kari Väänänen, Sakari Kuosmanen, Tomi Salmela
I film realizzati negli anni ‘80 sono quelli maggiormente rappresentativi del cinema di Jarmusch; Stranger than paradise, Daunbailò, Mistery train sono perle indipendenti imprescindibili per comprendere il suo pensiero e il suo lavoro. Taxisti di notte è il film che chiude la prima parte della filmografia e rispetto ai film precedenti è contrassegnato da toni più leggeri e meno ermetici, risulta per questo il miglior capitolo introduttivo.
Il film è composto da cinque episodi ambientati in altrettante città. Ognuno di essi è girato interamente all’interno di un taxi e strutturato sui dialoghi tra guidatore e passeggero. Le città rimangono visivamente in secondo piano, ma gli interpreti, rappresentativi di ognuna di esse, riescono a portarne in scena l’anima stessa divenendo esponenti di un preciso modo di esistere e stare al mondo.
È una comunità a parte quella filmata da Jim Jarmusch, una comunità notturna, una nicchia, un gruppo di alienati. Parlano soltanto i personaggi di Taxisti di notte e sembra che la corsa notturna sia semplicemente un pretesto. I dialoghi sono brillanti, scritti in modo acuto e preciso, ma niente vaneggiamenti filosofici per queste anime notturne, niente concettualizzazioni esistenziali, solo cinque semplici spaccati di quotidianità, alcuni più divertenti (tra tutti New York) altri più sofferenti (di sicuro Helsinki) altri ancora completamente assurdi (Roma!).
Taxisti di notte è tutto qui, cinque episodi di dialoghi notturni tra sconosciuti.
Con cosa proseguire: Paterson
Titolo: Paterson
Anno: 2016
Durata: 113′
Interpreti: Adam Driver, Golshifteh Farahani, Barry Shabaka Henley, William Jackson Harper
Dopo l’excursus obbligatorio nelle prime opere di Jim Jarmusch procedere con la visione di Paterson permetterà di notare come la sua poetica si sia evoluta e adeguata alla contemporaneità, ma sia rimasta, in fin dei conti, sempre fedele a se stessa.
Paterson contiene la calma e la lentezza (da non intendersi in senso negativo) dei primi film, è un racconto minimalista che soffermandosi sulle piccole cose prova a parlare di quelle universali. È la registrazione della quotidianità di un autista di autobus-poeta, Paterson (Adam Driver) perfetto strambo jarmuschiano che nella sua apparentemente perfetta adesione alla società si delinea outsider. Porta il nome della sua città, come se Jarmusch volesse dichiarare una volta per tutte come i luoghi che abitiamo alla fine ci abitino.
Paterson (il personaggio) è uno che nella società non ci riesce a stare, è troppo alto, troppo goffo, il suo cuore è troppo pesante, il suo animo troppo buono. Passa le giornate guidando autobus e origliando le conversazioni dei passeggeri (da sottolineare i protagonisti di Moonrise Kingdom che parlano dell’anarchico italiano Gaetano Bresci!) aspettando soltanto il momento per ritrovarsi con le sue pagine bianche da riempire. La continua ripetizione di momenti sempre uguali svuota gli eventi di significato, ma al tempo stesso amplifica a dismisura ogni reazione e ogni silenzio.
La delicatezza con cui Jim Jarmusch riesce a raccontare la banalità della quotidianità è disarmante, la capacità di tenere lo spettatore incollato allo schermo per quasi due ore è grandiosa. Il film è poesia.
Per innamorarsi: Solo gli amanti sopravvivono
Titolo: Solo gli amanti sopravvivono (Only lovers left alive)
Anno: 2013
Durata: 123′
Interpreti: Tilda Swinton, Tom Hiddleston, Mia Wasikowska, John Hurt, Anton Yelchin, Jeffrey Wright
I vampiri sono da sempre creature affascinanti che si prestano a facili metafore, ma (la storia del cinema e della serialità televisiva insegna) non è facile trattare la materia con consapevolezza e originalità. Jim Jarmusch ci riesce realizzando un film che trascende la definizione di film di vampiri per diventare un’opera incentrata sulla noia dell’esistenza. Di Solo gli amanti sopravvivono abbiamo anche scritto una recensione.
I vampiri sono reietti della società, emarginati fieri di esserlo che in una vita altrimenti sterile cercano sollievo nell’arte. Adam (Tom Hiddleston) si trova a Detroit, ennesimo posto uguale agli altri, ma ancora più decadente e rovinato. Decide di non abitare la città, ma di rifugiarsi nella sua casa e trovare salvezza nella musica delle sue chitarre elettriche.
Disilluso e amareggiato da una società contro cui muove una critica corrosiva, è il primo vampiro con istinti suicidi. Eve (Tilda Swinton), al contrario, gode dell’infinito tempo offertogli coltivando il suo amore per la poesia e la letteratura in una città come Tangeri che appare come l’ultimo luogo in cui è possibile vivere aspirando all’elevazione. Il film trasuda malinconia per un’esistenza che non esiste più.
Solo gli amanti possono sopravvivere a questo gretto mondo di bruttezze. Il suono ripetitivo di chitarre distorte e i discorsi che si attorcigliano su se stessi sottolineano il dono e la condanna di vivere un’esistenza senza fine in cui una notte segue a un’altra all’infinito.
Con cosa non iniziare: Dead man, Ghost dog
Titolo: Dead Man
Anno: 1995
Durata: 121′
Interpreti: Johnny Depp, Gary Farmer, Crispin Glover, Lance Henriksen, Michael Wincott, Eugene Byrd, John Hurt, Robert Mitchum, Iggy Pop, Gabriel Byrne,Jared Harris, Mili Avital, Jimmie Ray Weeks, Mark Bringleson, John North, Billy Bob Thornton, Alfred Molina
Dead Man e Ghost Dog sono i due film di passaggio tra la prima e la seconda parte della carriera dell’autore, occupano quella zona di mezzo che risulta più atipica e sperimentale, in un certo senso, anche se del tutto aderente con la sua riflessione. Sono evidenti gli influssi postmodernisti tipici degli anni ‘90 soprattutto nell’ibridazione e nella rivisitazione di generi classici.
Jim Jarmusch affronta due generi americani tipici e li decostruisce scardinando il nucleo principale e innestando il proprio personale ragionamento sulla solitudine dell’uomo moderno e l’incomunicabilità a cui è condannata la società. Uno è un western visionario, l’altro un noir filosofico, in entrambi il livello di lirismo è molto alto.
Titolo: Ghost Dog
Anno: 1999
Durata: 116′
Interpreti: Forest Whitaker, John Tormey ,Cliff Gorman, Isaach De Bankolé ,Tricia Vessey, Frank Minucci, Richard Portnow, Henry Silva, Vince Viverito, Victor Argo, Joseph Rigano
Dead Man risulta più difficile e surreale, mentre Ghost dog è più immediato, ma con strizzate d’occhio più intellettuali. Non dimentica il ruolo della colonna sonora che in entrambe le opere non fa che aumentare la carica di rappresentazione allusiva della realtà.
In Dead Man la collaborazione con Neil Young & the Crazy Horse accresce la carica stupefacente e allucinata che muove la narrazione, in Ghost Dog il sodalizio con RZA dei Wu-Tang Clan favorisce la costruzione urbana dell’opera. I due protagonisti, Johnny Depp per Dead Man e Forest Whitaker per Ghost Dog, appartengono al gruppo di solitari e isolati che sono i protagonisti jarmuschiani, destinati entrambi a un travagliato percorso.
Nonostante siano imprescindibili e per alcuni considerati anche i capolavori del regista, la visione di questi due film è consigliata per un secondo momento, dopo aver già fatto conoscenza con il linguaggio e il campo di pensiero di Jim Jarmusch.
Opera cult: Coffee and cigarettes
Titolo: Coffee and cigarettes
Anno: 2003
Durata: 95′
Interpreti: Roberto Benigni, Steven Wright, Joie Lee, Cinqué Lee, Steve Buscemi, Iggy Pop, Tom Waits, Joseph Rigano
Undici conversazioni per undici cortometraggi, a condurle una varietà di personaggi da lasciare a bocca aperta. Con una realizzazione che si è protratta dal 1986 al 2003, Coffee and cigarettes è l’opera culto di Jarmusch, quasi la sua opera-simbolo.
Film collettivo a episodi realizzati in tempi diversi, tutti in bianco e nero, indipendenti tra loro, riuniti in un unico contenitore in cui il collante sono appunto il caffè e le sigarette come stimolo alle conversazioni più disparate. L’anima più pura di Jim Jarmusch è riconoscibile in questa esplorazione umana senza morale di personaggi dai caratteri più diversi e dalle inclinazioni più disparate.
I discorsi a cui assistiamo presentano quel tono tipico tra il non-sense, il politico e l’ironico. La presenza attoriale è quanto mai fondamentale e il livello di improvvisazione probabilmente molto alto. Prima ancora di essere un’opera cinematografica Coffee and Cigarettes appare come un omaggio di Jim Jarmusch ai suoi attori e degli attori al proprio regista, un sodalizio che non è solo lavorativo, ma prima di tutto affettivo.
Si potrebbero scrivere molte parole per ognuno degli episodi, ma basterà citarne uno, forse il più famoso, vincitore della Palma d’Oro del Cortometraggio nel 1993, Coffee and cigarettes: Somewhere in California con Tom Waits e Iggy Pop in cui l’ironia con cui i due artisti riescono a prendersi gioco di loro stessi e del loro ruolo è incredibile.
Coffee and cigarettes è il cinema di Jim Jarmusch condensato in pochi episodi, grandi interpretazioni, molti discorsi e altrettanti silenzi: la vita ripresa così com’è.
In copertina: Artwork by Madalina Antal
© Riproduzione riservata
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