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Rheingold, suggestioni di generi nel nuovo biopic di Faith Akin

8 minuti di lettura

Dal 27 luglio è in sala l’ultima fatica del regista Faith Akin. Rheingold è una storia basata sul romanzo autobiografico Everything or Nothing del rapper e produttore tedesco Giwar Hajabi, che ripercorre la sua vita, dalla nascita al successo del suo album Nr. 415, prodotto nella cella di una prigione e registrato sotto una coperta un po’ sgualcita.

La sua è una di quelle storie umane difficili, fatte di contesti di nascita complicati, di scelte sbagliate e redenzione, ed è narrata dal regista con sfumature tonali che passano dalla cruenta rappresentazione di alcune realtà ai toni più ironici e scanzonati di una gangster story un po’ sui generis.

Di cosa parla il film di Faith Akin?

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Rheingold cala immediatamente lo spettatore nella realtà cruda e lontana di una prigione in Iraq. Bastano pochi istanti per rappresentare la tensione di un ambiente spietato in cui vige la legge del più forte: è il mondo in cui nasce Giwar Hajabi (Emilio Sakraya). La situazione narrativa in cui si trova il protagonista e di cui lo spettatore è all’oscuro è il principio di un ampio flashback che ripercorre tutta la sua storia.

Di origini curde, nato nella polvere di un bombardamento in Iran, la vita di Giwar è un viaggio, soprattutto spaziale, in cui emerge costantemente la gravità del contesto sociale e l’ombra del retaggio culturale, così come un’idea dell’Europa come nuovo mondo di possibilità. Dall’Iran a Parigi, poi a Bonn (in Germania), ogni esperienza contribuisce a plasmare il percorso interiore di Giwar.

Da parte del regista c’è soprattutto l’intenzione di dipingere un quadro umano fatto di luoghi, volti e storie. Questo per dire che, seppur necessariamente Rheingold debba convivere con l’ambiguità morale del protagonista e delle sue scelte, la messa in scena non giudica mai ma, anzi, rappresenta e osserva ogni strada che percorre Giwar come parte di un percorso umano. Il background è ancorato al personaggio di Giwar, così come ogni esperienza che affronta, e tutto ciò resta inevitabilmente e intrinsecamente connesso anche alla sua produzione artistica.

La storia di Rheingold, sicurezza di un canone narrativo

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Il racconto procede seguendo la regola, nel senso che si struttura seguendo il canone narrativo che questa tipologia di film ha sempre adottato. Un modello che segue il percorso travagliato del protagonista nei suoi errori e nelle sue cadute, fino alla redenzione finale.

La storia di Giwar, tra flashback e presente narrativo, inizia dalla sua nascita e ne affronta il contesto culturale e politico, soffermandosi sia sull’attivismo dei genitori che sulla carriera musicale del padre compositore. Nella parte centrale di Rheingold, l’Europa è vista idealmente come terra promessa e teatro di nuovi orizzonti. Si tratta di un ambiente che restituisce uno spettro di nuove possibili vite, di rinascite, però è anche e soprattutto un “luogo altro” in cui vengono dislocati tutti i demoni interiori e il vissuto del protagonista.

Rheingold si costruisce similmente al canone americano da gangster movie, perché, oltre alla struttura, questa rappresentazione dell’Europa non è lontana da ciò che rappresentano e hanno rappresentato gli Stati Uniti per molte storie di immigrati.

Un ritorno al presente narrativo chiude il flashback e inizia il percorso di redenzione del protagonista. Dopo un anno in una prigione in Iraq per il furto di un grosso quantitativo d’oro (quello cui fa riferimento il titolo, ironicamente) Giwar viene estradato e processato in Germania.

Se la detenzione costituisce l’espiazione del protagonista, la redenzione passa per la creazione artistica, a cui il protagonista si dedica in prigione e che costituirà la base per il suo successo. Un successo “legale”, che suggella la ricerca di una vita che lo ha sempre, in un modo o nell’altro, riportato alla criminalità, a volte perché gli eventi lo hanno messo alle strette, altre volte perché era la via più facile.

Il tocco autoriale di Akin

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Se in questa prospettiva si ha perciò una vicinanza al canone, come già asserito, è in altri “luoghi” che risiede lo scarto alla regola. Questi scarti passano soprattutto per la questione della rappresentazione della violenza, per il tono che assume Rheingold nei confronti di ciò che avviene e per l’uso di vari codici di genere.

Faith Akin non rinuncia alla crudezza di alcune visioni, soprattutto rilegate in Medio Oriente. Torture, omicidi e soprusi sono il segno di un territorio ostile e sabbioso che i protagonisti sono costretti ad abbandonare e in cui, come una sorta di beffa del destino, ritornano per scappare dalla polizia.

Anche le variazioni di tono costituiscono una caratteristica peculiare di questo racconto. A partire dalla rappresentazione realistica e cruenta del Medio Oriente di cui si parlava poco fa, Rheingold perde lentamente questi tratti per abbracciare delle modalità più scanzonate e talvolta enfatiche. È come se, in un certo senso, il film smorzasse la sua tragicità attraverso una maggiore ironia e una convergenza col modello americano, che alleggerisce il tono e si limita a osservare ciò che accade (creando anche qualche stridio interessante).

Rheingold adotta, insieme con questa struttura da biopic, il modello della gangster story, da cui prende la latitanza del protagonista e gli spostamenti geografici, ma anche la genesi e le dinamiche sociali. La variazione dal canone si muove anche per questa commistione di generi, o forse sarebbe meglio chiamarle “suggestioni di genere”, perché si tratta di brevi richiami ai topoi di alcuni generi ben codificati: la richiesta al boss che appartiene al film di mafia, la preparazione al colpo dell’heist movie, la preparazione atletica condensata in pochi minuti tipicamente da biopic sportivo, il bullismo del coming of age, la produzione del disco del biopic musicale.

Rheingold vive di contraddizioni tonali, di baleni codificati di altri generi che compaiono e muoiono, e soprattutto di una storia umana in cui ogni scelta, ogni stralcio di vissuto, contribuisce a plasmare l’essere umano e soggiace alla creazione artistica.


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Classe 1998, nato a La Spezia. Laureato in Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione a Pisa e attualmente studente di Cinema, Televisione e Produzione Multimediale a Bologna. Sono appassionato di cinema sin da piccolo e scrivere mi aiuta a fare chiarezza su ció che guardo (quasi sempre).

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