La quarta giornata del Florence Korea Film Fest 2023 procede con Through My Midwinter, diretto da Oh Seong-ho e appartenente alla sezione Independent Korea. Un lungometraggio essenziale nel racconto come nella realizzazione, esempio di quel cinema, indipendente per l’appunto, che come tante altre volte in questi anni di festival ha fatto riflettere sul valore stesso della cinematografia. Nel contempo, un esempio di come un buon film prescinda da grossi budget e massicce distribuzioni, esaltatori e quasi mai creatori di una buona materia prima.
Through My Midwinter, una storia fin troppo reale
Kyung-hak (Kwon Da-ham) è un ventinovenne come tanti altri che studia per diventare poliziotto; abita felicemente con la sua ragazza Hye-jin (Kwon So-hyun), anche lei impegnata ad ottenere l’impiego dei suoi sogni presso l’ente governativo per il turismo e, nonostante la mancanza di entrate stabili renda difficile la convivenza, i due riescono ad andare avanti con ottimismo. Questo equilibrio, tuttavia, viene presto turbato quando Kyung-hak è costretto a lavorare per saldare un debito ingente che la madre ha accumulato a suo nome, e a sua insaputa.
Through My Midwinter è una storia di vita quotidiana come tante altre, ciononostante speciale a suo modo perché vera, da qualunque angolazione la si guardi: una situazione precaria giudicata dai punti di vista più critici assumibili e che agiscono da fattore ulteriormente destabilizzante, come quello di un genitore austero che disapprova o di una società impietosa, nei confronti di un ventenne che non ha ancora avuto successo. Un contesto abitato da cinici e dove la praticità è sovrana, in cui il valore di una persona è misurato dal conto in banca e la sua affidabilità dal posto di lavoro.
La pellicola di Oh Seong-ho ritrae una generazione determinata ma confusa e che, non oltrepassata la soglia dei trent’anni, si ritrova già con una data di scadenza stampata in fronte: un popolo di sprovveduti sotto costante processo per il solo fatto di essere manchevole di qualcosa, che si tratti di un partner o del matrimonio e, se non questo, di un cosiddetto lavoro onesto in grado di rendere appetibili agli occhi del mondo, lo stesso che misura il tempo sprecato in base ai numeri scritti sulla carta di identità.
Con queste premesse, Through My Midwinter racconta lo sgretolamento di un rapporto solido, apparentemente incontaminato da pregiudizi e costrutti sociali. Lo fa servendosi di un’essenzialità narrativa che trasmette una sensazione di freddo pungente e impotenza di fronte alla capacità della società di annientare il singolo; da tutto ciò scaturisce un ritratto rassegnato, per così dire, finalizzato alla presa di consapevolezza dello spettatore più che ad una sua reazione propositiva.
Through My Midwinter, doloroso e onesto
Through My Midwinter è un quadretto di vita realistico quanto uno scatto fotografico e che, allo stesso modo, dà accesso solo ad una parte dell’intera mostra. Lo spaccato a cui abbiamo accesso è nel caso specifico proprio l’inverno, la stagione più buia e difficile da vivere, che nella sala del cinema scende come un boccone amaro e che, non sporgendosi più in là della stagione presente, priva della speranza che arrivi il meglio con il sopraggiungere della primavera.
Questo esempio di ottimo cinema indipendente ha la missione di annichilire lo spettatore con l’amarezza, cosa che in effetti fa, e anche con decisione. Lo fa per mezzo di un finale che tronca la storia di netto, proprio quando ci si inizia ad interrogare su qualsiasi cosa: una strategia dura ma efficace nel riportare i sognatori coi piedi per terra, ricordando che i soldi non fanno la felicità ma di certo ne costituiscono una buona base.
Non si tratta di un film originalissimo né tantomeno di un capolavoro di regia. Through My Midwinter è una pellicola semplice con nulla di più di tante altre a livello realizzativo, che deve la sua bellezza e il suo successo ad un malessere condiviso e raccontato come di dovere. È un cinema che dimostra che, per creare un buon film, basta avere qualcosa da dire e saperlo dire, disponendo anche solo del minimo indispensabile per poter mettere tutto nero su bianco. Il risultato non deve essere per forza indimenticabile, solo un qualcosa che penetri nelle ossa come l’inverno più freddo e lungo che si ricordi.
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