Secondo lungometraggio di François Truffaut, Tirate sul pianista (Tirez sul le pianiste) del 1960 racconta la storia di un umile e riservato pianista di un bistrot di periferia che inaspettatamente si trova coinvolto in un regolamento di conti con una banda di gangster. Costretto a scappare e interrompere la vita che con fatica era riuscito a ricostruire, fuggirà insieme all’amante alla ricerca della salvezza.
All’epoca la pellicola sconcertò e divise la critica: si tratta di una storia tragica, cupa, inquieta, comunque lontana dai temi dell’acclamato I quattrocento colpi dell’anno precedente. Un racconto sì dalle note truffatautiane, ma con un’impronta decisamente più nostalgica e di un indubitabile fascino d’altri tempi.
Il romanzo di David Goodis
Sparate sul pianista è tratto dal romanzo del 1956 Down There (poi ripubblicato in occasione dell’uscita del film con il titolo Shoot the piano player) del noto scrittore statunitense David Goodis. Riconosciuto come uno dei migliori autori di libri gialli del periodo, il suo stile ha influenzato e ispirato altri cineasti che hanno portato le sue storie sul grande schermo. Adattamenti che hanno sempre riscontrato un più che discreto successo: si ricordi ad esempio un altro melodramma noir, La fuga di Delmer Daves con la splendida coppia Humprey Bogart e Lauren Bacall, tratto dal romanzo Dark Passage del 1946.
Nella corrispondenza fra Truffaut e Goodis si apprendono molti aspetti riguardante la realizzazione del film; risultano particolarmente curiose le riflessioni sul film concluso. Proprio in questi passaggi si percepisce da parte dello scrittore l’immensa stima per quella che è la personalità del regista francese, sia in ricordo delle simpatiche serate trascorse insieme durante il suo soggiorno negli Stati Uniti, sia per lo stile filmico e l’adattamento del romanzo su pellicola.
L’apprezzamento di Goodis è dovuto in particolare all’affinità che ne risulta fra i personaggi, la loro interpretazione e il legame strettamente personale con questi: “frequentatore di locali e quartieri neri, masochista congenito, negativo fino al nichilismo, Goodis amava narrare di sé vicende forse esagerate e imprecise, variazioni aneddotiche su un disagio invece fermo e ossessivo” scrive l’autore Goffredo Fofi in analisi al romanzo. Un legame intimo e privato, che trova le sue radici nell’esperienza di una vita troppo breve, costantemente tormentata e colpevole.
Un solitario, un perdente, un emarginato, tutti protagonisti alter ego dello scrittore che con dimestichezza si rifugia nei suoi romanzi; connotati che in quest’occasione trovano una piena espressione nelle caratteristiche fondanti la corrente cinematografica nella quale si inserisce il film ispirato al suo romanzo. “Goodis come eroe romantico e come creatore di eroi romantici tardo-romantici o post romantici, dentro il male del mondo dentro la caduta dentro l’impossibilità di ogni riscatto.”
Perché i cineasti francesi?
D’altronde si noti come siano proprio stati i cineasti francesi di quel periodo a subire per primi il fascino dei racconti noir americani e a riconoscerne il potenziale. Soprattutto a partire dagli anni Trenta si evidenzia un interesse profondo verso quel mondo e la necessità di portarlo sul grande schermo d’oltreoceano.
Sarà proprio questo desiderio a culminare nella determinazione di nuovo genere: il Polar – un neologismo indicante le caratteristiche del genere poliziesco con il noir. Non solo Truffaut ne subisce il fascino, ma anche altri registri che ne diverranno fra i maggiori esponenti: si ricordino Claude Chabrol, Jean-Pierre Melville e Jacques Becker.
La motivazione a questa particolare sensibilità va ricercata quasi esclusivamente nella componente storico culturale del popolo francese. Nell’approfondimento a cura di Ernesto Laura nella raccolta di saggi I colori del nero, viene spiegata una delle connotazioni di questa tendenza:
Ciò che conta è affermare che i connotati che rendono riconoscibile e inconfondibile la fisionomia del film noir sono tutti presenti nel miglior cinema di Francia dal 1930 in poi, fino allo scoppio della guerra e all’occupazione tedesca. Volendo riepilogarli, questi connotati comprendono la figura dominante di un antieroe, talvolta un criminale di professione, più spesso un uomo comune indotto al crimine in circostanze particolari, la sua collocazione sociale fra gli operai, i piccoli impiegati, gli emarginati; un rapporto di forte passione con una donna che è quasi sempre una femme fatale (equivalente delle dark lady degli americani) capace di sfruttare il suo ascendente erotico per spingere l’amante al delitto; la presenza di un esponente del potere economico come sfruttatore e come” grande criminale” impunito dalla legge; e la polizia, i tribunali, la “giustizia” nel suo insieme come strumenti d’ordine incapaci di combattere la ingiustizia di fondo d’una società e quindi tutti proiettati sulla caccia al “delinquente”.
Sempre Laura precisa come il tutto si inserisca comunque in un’ottica fatalista, dove all’antieroe e alle persone a lui immediatamente vicine viene negata ogni opportunità per cambiare la propria esistenza. È così che la morte diviene l’unica conclusione. Eppure, non si tratta di un destino nel senso della tragedia greca; piuttosto si connota come una conseguenza concreta e inevitabile di uno stato di crisi sia essa sociale o politica.
In questo discorso si inseriscono certi capolavori dell’anteguerra di maestri del realismo poetico come Jean Renoir (La cagna, Il delitto del signor Lange, L’angelo del male), Marcel Carné (Alba tragica, Il porto delle nebbie) e Julien Duvivier (Il bandito della Casbah).
La nascita del Polar
È quindi indiscutibile che la tradizione cinematografica e culturale abbiano giocato un ruolo fondamentale nel passaggio del testimone da Hollywood alla Francia e nella formazione del “nuovo cinema noir”.
Nuovo, e diverso. In particolare, il Polar affronta tematiche che vanno al di là del semplice tema poliziesco. I registi, francesi, infatti, guardavano al modello americano ma riuscivano con naturalezza (e abilità tecniche) a farne proprie le storie, i luoghi, i personaggi, il linguaggio e soprattutto la morale. Questa spontaneità, come precisato, va a sua volta ricollegata al contesto storico e politico dell’epoca.
Diverse realtà, differenti gli approcci. Il Noir in America nasce in un’atmosfera nuova: dopo la Depressione degli anni Trenta si respira un’aria di cambiamento e vi è una generica speranza dovuta soprattutto alle spinte governative in ambito sociale ed economico, una fiducia e una prospettiva di crescita. Tuttavia, le bande criminali stesse sono frutto della nuova società che si viene a creare, cui temi caratterizzanti sono la ricerca della ricchezza e la lotta per il potere.
In Francia, al contrario, tutto il secolo è connotato da sentimenti quali inquietudine e sfiducia nelle azioni politiche intraprese dalle classi dirigenti; una generale instabilità d’animo e una profonda crisi sociale ed economica, riversata ed espressa a pieno dai protagonisti di queste pellicole: criminali come vittime del destino, ai quali non è concessa una seconda occasione.
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