È su Netflix dal 24 febbraio Un fantasma in casa, il nuovo film di Christopher Landon (Auguri per la tua morte, Freaky). Il film tratta le vicende di una famiglia che si trasferisce in una nuova casa, troppo bella e troppo economica per essere vera. La realtà è che l’abitazione è infestata da un fantasma che terrorizzerà i nuovi inquilini… o forse no?
Gli effetti della contemporaneità sul cinema horror
Com’era bello girare i film horror in un’epoca senza gli smartphone, dove ogni personaggio veniva abbandonato a se stesso senza poter comunicare con il resto del mondo!? Adesso è necessario utilizzare dei macguffin per far sì che lo spettatore creda a quel che vede sullo schermo, prendere il coltello dalla parte del manico e dare uno scopo alla tecnologia all’interno della trama.
Il progresso tecnologico può dare una grande mano al regista, che viene messo nelle condizioni di scrivere film originali e attuali utilizzando degli elementi che in passato non esistevano.
L’idea più interessante di Un fantasma in casa è quella di usare la componente orrorifica del fantasma per fare una riflessione sulla contemporaneità, concentrandosi sugli effetti virali dei social e che influiscono sulle reazioni umane nei confronti del paranormale. Il protagonista scopre di avere un fantasma in soffitta e anziché spaventarsi decide di filmare lo spirito con il suo smartphone. Una volta scoperto dagli altri membri della famiglia, questi decideranno di investire su di lui, postando sul web contenuti a tema e puntando alla fama. Il fantasma non è più un essere paranormale di cui aver paura, ma una possibile macchina da soldi in grado di catturare l’attenzione mediatica e di far aumentare i follower e le visualizzazioni dei profili social della famiglia.
Un fantasma in casa pone solide basi per fare una buona critica al capitalismo e un’ottima riflessione sul mondo contemporaneo, ma tutto ciò si perde ben presto in numerosi cliché che appiattiscono il film rendendolo l’ennesima commedia che vuole prendersi troppo sul serio.
Un fantasma in casa, cosa non funziona?
Per capire cosa non funziona in Un fantasma in casa bisogna prima discutere del suo genere cinematografico. Non è un horror e non vuole esserlo, ma è una commedia che non punta troppo a far ridere: poche battute, poche situazioni ironiche, e mentre il fantasma Ernest (interpretato da David Harbour) sembra poter essere un elemento chiave della linea comica, questo appare spesso malinconico per via della sottotrama legata alle sue origini.
Anche il resto dei personaggi è costantemente limitato da situazioni e sottotrame seriose che ostacolano la vena comica, e che in più allungano un film che sarebbe potuto durare trenta minuti in meno. In particolare le dinamiche familiari tra il protagonista Kevin (Jahi Di’Allo Winston) e il padre Frank (Anthony Mackie) non raggiungono la giusta intensità per risultare interessanti, oltre a risolversi con scene e frasi fatte talmente prevedibili da poter essere anticipate dallo spettatore.
Tra le scene più divertenti vi sono sicuramente quelle legate ai social media (che potevano essere sfruttati maggiormente) e quelle tra il fantasma Ernest, Kevin e la sua amica Joy (Isabella Russo), ovvero i personaggi più simpatici del film.
L’ironia utilizzata appare quindi come un palliativo per arrivare alla fine della visione e non come un’arma per dare forza alla critica sociale, espressa senza l’audacia necessaria per risultare tagliente. È anche vero che il prodotto non nasce sicuramente con l’idea di essere un film carpenteriano, ma il problema principale del film di Landon è che manca proprio di quella leggerezza e di quel divertimento che lo renderebbe un film piacevole senza troppe pretese.
Un fantasma in casa, un’esecuzione senza inventiva
I problemi di Un fantasma in casa non sono da trovare solo nella sceneggiatura, poiché anche registicamente il film risulta blando e senza carattere. Landon dirige senza inventiva e senza un’identità, con il risultato di non riuscire ad andare oltre il classico prodotto Netflix standardizzato.
A risentirne maggiormente è il personaggio del fantasma, che non viene messo nelle condizioni di stupire lo spettatore, se non per la scena in cui spaventa la crew televisiva della medium (interpretata da Jennifer Coolidge); ma va detto che anche in quel frangente, il macabro viene filtrato da un’invadente patina di effetti visivi non troppo riusciti.
Con il piccolo della famiglia emarginato e il rapporto speciale con lo spirito che infesta la sua nuova abitazione, il film a tratti sembra voler essere una versione contemporanea del Beetlejuice di Tim Burton, senza però l’estetica surreale dell’autore di Burbank che rendeva il suo film originale e moderno.
Un fantasma in casa è un film insicuro su quale strada prendere, allora nel dubbio le prende tutte, senza mai compiere l’intero viaggio; si ferma qua e là, incontra tanti personaggi senza approfondirli, e alla fine – dopo ben 127 minuti – allo spettatore non resta niente che non avesse già visto prima, in tanti, troppi, altri film.
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