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Vincent deve morire copertina

Vincent deve morire, storie di ordinaria violenza

5 minuti di lettura

Vincent deve morire (Vincent doit mourir) di Stéphan Castang è un gioco macabro che si serve dei silenzi plumbei per raccontare una storia satura di violenza e di rabbia, fatta di momenti che sotto un’apparente quiete nascondono una minaccia impossibile da prevedere. Intorno all’imperativo del titolo prende forma la struttura del racconto e ciò che contiene: l’indicazione perentoria di un dovere cieco, inspiegabile e insensato, che come un’anatema, una condanna dall’alto, si scaglia sulla testa di Vincent, protagonista di questo thriller satirico che traccia le coordinate di un’apocalisse che sembra quasi alle porte.

Vincent deve morire, un’epidemia di violenza

Karim Leklou in una scena di Vincent deve morire

Presentato al Torino Film Festival e in sala dal 30 maggio, Vincent deve morire racconta il lento arenarsi verso i margini della società di Vincent (Karim Leklou), pubblicitario che da un giorno all’altro si ritrova ad essere vittima di attacchi fisici improvvisi e immotivati da parte delle persone che lo circondano.

La violenza sembra erompere con maggiore veemenza in presenza di un contatto visivo: quando gli sguardi di Vincent e un’altra persona si incrociano, che sia lo stagista appena arrivato o il collega di lunga data, c’è qualcosa che si spezza. Gli occhi si svuotano, lo sguardo diventa vitreo, privo di vita: a quel punto è solo questione di secondi prima che la violenza si impossessi di loro e cerchino di uccidere il povero Vincent, spaesato e privo di difese.

Qual è il motivo degli attacchi? Come sono iniziati? Cosa li ha scaturiti? Si tratta di una malattia? Esiste una cura? Riguarda solo la Francia o si verifica anche altrove? Queste sono alcune delle domande che Vincent porrà sul sito dove coloro che si trovano nella stessa situazione si riuniscono per trovare conforto e avere gli unici scambi che possono avere col mondo senza rischiare la vita.

Non ci sono risposte: la violenza che dilaga tra la gente e che sceglie di accannarsi solo su alcune persone al punto tale da spingerle all’isolamento non è governata da nessuna legge né sembra essere guidata da alcuna ideologia. Una violenza arbitraria, straripante e contagiosa: un virus che si propaga per le strade e si fa sempre più distruttiva con il suo corrodere ogni possibilità di contatto, di vicinanza e di intimità.

Una società frammentata tra desideri e paure

Vincent deve morire

L’aspirazione di Vincent deve morire è chiara: fare i conti con la violenza che ammorba il tessuto di una società fragile in cui le connessioni umane sono intaccate da rabbia, frustrazione e mancanza di fiducia nel prossimo. In un mondo in cui chiunque può cercare di ucciderti in ogni momento, l’unica difesa sembra essere l’isolamento, tagliare i ponti col mondo e azzerare le possibilità di essere ferito.

Ma nonostante le atmosfere claustrofobiche, il carico di violenza che esplode lasciando schegge e sangue sparsi dappertutto e un piglio tanto ironico quanto funereo sparso profusamente lungo tutta la narrazione, Vincent deve morire nasconde nella sua corazza arrugginita dei piccoli momenti di luce che mostrano l’ostinata sopravvivenza del desiderio di guardare l’altro dritto negli occhi e di avere qualcuno vicino.

E questi momenti che baluginano e creano delle feritoie nel mondo tetro e grottesco messo in scena da Castang sono alcuni degli elementi più interessanti di Vincent deve morire, salvandolo dal rischio di una narrazione eccessivamente monocorde e claudicante. Un racconto di paure che soffocano esistenze, di paranoie che ammorbano l’aria, e di desideri che continuano a sopravvivere, anche se feriti e sanguinanti.


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Classe 1999, una delle tante fuorisede in terra sabauda. Riguardo periodicamente "Matrimonio all'italiana" e il mio cuore è diviso tra Godard e Varda. Studio al CAM e scrivo frammenti sparsi in giro per il mondo.

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