Giunge al termine X-Men ’97, la serie Disney+ che riprende da dove si era fermata ben ventisei anni fa l’iconica Insuperabili X-Men, serie animata dei celebri mutanti di casa Marvel. Un’apparente operazione nostalgica che in realtà urla a gran voce quanto siano ancora importanti dei personaggi come gli X-Men e tutte le analogie che ne conseguono nell’attuale società del mondo reale.
Il coraggio alla base dell’operazione di X-Men ’97
X-Men ’97 poteva essere la solita serie fan service. Sarebbe stato semplice far leva sulla nostalgia, sui nuovi spettatori che aspettavano con ansia un ritorno dei mutanti, e sui vecchi spettatori che adoravano la serie originale (soprattutto su chi non la ricorda con lucidità). Perché va detto: per quanto iconica, divertente e confortevole, la serie originale appare oggi troppo lontana dalle attuali linee guida dell’intrattenimento. È figlia dei suoi tempi, sicuramente godibile, ma anche estremamente difettosa. X-Men ’97 invece, pur conservandone lo spirito, riesce a distaccarsi modernizzandosi, rimanendo classica ma ammorbidendo le pesanti sagome anni ’90 che appiattivano le capacità narrative dei suoi elementi cardine.
Difatti questa nuova serie risulta sorprendente non tanto sul piano tecnico, quanto su quello della scrittura (proprio dove l’originale peccava). È una serie consapevole del materiale che possiede, del suo potenziale, degli anni passati senza una rispettosa profondità del mondo dei mutanti. La serie di Beau DeMayo sorprende principalmente per il coraggio, per la sua unicità all’interno del contesto Marvel di Kevin Feige, dove l’iconografia supereroistica conta più della storia che viene raccontata.
Wolverine torna ad essere un comprimario, dando più spazio a personaggi meno valorizzati negli ultimi prodotti live action. Importante e coraggioso anche l’incipit della serie, dove con il Professor Xavier fuori dai giochi (a causa degli accadimenti nel finale della serie originale) gli X-Men vengono dati in mano al villain Magneto. Un what if degno di un albo a fumetti, qui invece elemento chiave di una trama che sceglie di non essere la zona di comfort degli spettatori più affezionati. Anche perché le tematiche degli X-Men sono troppo delicate per essere confortevoli.
X-Men ’97 inizia col botto, entrando a gamba tesa sulla società attuale e mandando in guerra i suoi protagonisti più amati – ai quali è meglio non affezionarsi troppo. Multiversi, viaggi nel tempo, ma forse non tutto è rimediabile come spesso accade nell’MCU. In questa serie la morte esiste e ha un peso specifico.
Un sequel come punto di partenza
In X-Men ’97 è possibile scoprire le vere caratterizzazioni di tanti personaggi che nel corso degli anni – in base alle visioni e alle esigenze registiche o di scrittura – sono “mutati” modificando radicalmente la propria identità (o addirittura perdendola in via definita). Vengono finalmente rispolverati personaggi come Gambit, Morph, Forge e Jubilee, valorizzati Ciclope, Rogue, Cable e Nightcrawler, mentre i fan più fedeli possono tornare ad apprezzare gli autentici Bestia e Wolverine.
Il caso di quest’ultimo è il più interessante, poiché il personaggio di Hugh Jackman introdotto nei film di Bryan Singer ha ormai assunto un ruolo da icona dei cinecomics (al pari solo di Robert Downey Jr. con il suo Iron Man), tanto da influenzare a sua volta la sua controparte cartacea. Qui Wolverine viene ripreso nelle sue caratteristiche più animalesche, distaccandosi quindi dal personaggio a cui gli spettatori moderni sono abituati. Una scelta che si rivelerebbe oculata anche e soprattutto per i futuri live action dell’MCU. Scimmiottare Jackman significherebbe perdere in partenza, meglio optare per una caratterizzazione che renderebbe i ruoli imparagonabili tra loro.
Detto questo, X-Men ’97 risulta quindi essere un sequel ma anche un ottimo punto di partenza, perfetta per gli spettatori più fedeli tanto quanto per i neofiti che non sanno da dove cominciare (e senza la necessità di recuperare le precedenti quattro stagioni degli anni ’90). Un revival scritto da chi conosce bene la serie a fumetti Uncanny X-Men, e in particolare gli albi di Chris Claremont. Una trasposizione che rispetta le sue origini, a volte in maniera maniacale tanto da sembrare un albo a fumetti in movimento.
Ma la cosa più commovente di questa serie è la percezione del profondo rispetto per questi personaggi, per queste vicende e per quello che rappresentano. X-Men ’97 è prima di tutto un’opera fatta con tanto cuore, da chi probabilmente ama davvero le creazioni di Stan Lee e Jack Kirby.
X-Men ’97, l’attualità tra genocidi e xenofobia
Oggi come allora i valori degli X-Men sono fondamentali, e trattarli nel modo adeguato rende immediatamente d’impatto le storie che vanno a rappresentare. Quel che è mancato a tanti prodotti del Marvel Cinematic Universe è qualcosa di importante da raccontare, come se l’intrattenimento mainstream non potesse coinvolgere anche importanti messaggi sociali e politici.
Ma gli X-Men nascono per essere sociali e politici, e non a caso le loro trasposizioni meglio riuscite riescono a dare voce ai valori più importanti di cui si fanno portatori (X-Men, X-Men 2 e X-Men: Giorni di un futuro passato, tutti di Bryan Singer). La paura e la repulsione per il diverso stanno alla base di ogni storia degli X-Men, così come tristemente anche nella nostra società interculturale.
Il culmine socio-politico di X-Men ’97 esplode nel quinto episodio con il genocidio di Genosha, uno stato mutante definito illegittimo. Adattando E is for Extinction, viene messa in scena una delle storie più tragiche degli X-Men e della Marvel, dove la rabbia per l’ingiustizia subita trasforma alcuni mutanti spogliandoli della propria morale.
Nel dramma assoluto riecheggia la frase “Magneto was right”, quasi come un urlo di battaglia, un atto di forza disperato di chi ha completamente abbandonato le speranze di un mondo migliore. Torna forte la rivalità tra i due amici Xavier e Magneto, tra chi crede nella pace e chi assume il ruolo del villain con ragione, motivo per cui quest’ultimo è ancora oggi tra i personaggi più interessanti dell’intero universo Marvel.
X-Men ’97 è un’opera semplice, che sa toccare le corde giuste per raggiungere la giusta stratificazione senza risultare complessa. Non è una serie esente da difetti, ma è quel tipo di prodotto che funziona dove necessario, e in cui le sue grandi qualità fanno chiudere un occhio sui punti deboli rendendoli superficiali. È il gran ritorno degli X-Men, un gruppo di supereroi che a volte preferirebbe non essere tale. Il gran ritorno di personaggi dalle infinite possibilità narrative, e su cui la Marvel, se vuole davvero rinascere, dovrà assolutamente puntare.
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