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«The Terminal» di Spielberg non è mai stato così attuale

5 minuti di lettura

The Terminal racconta la storia di Viktor Navorski (Tom Hanks); diretto da Steven Spielberg, è la terza pellicola che vede questo binomio sullo schermo, dopo Salvate il Soldato Ryan nel 1998 e Prova a Prendermi nel 2002. La storia è ispirata alle “sventure” di Merhan Nasseri, un ex cittadino iraniano che visse per 18 anni nel Gate 1 all’interno dell’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi.

È tutta la vita che aspetto, solo che non so che cosa aspetto.

Amelia Warren, Catherine Zeta Jones

Viktor Navorski è un cittadino di uno Stato chiamato Cracovia. Mentre vola verso l’aeroporto John Fitzgerald Kennedy di New York, il suo paese viene rovesciato da un gruppo di militanti armati. Gli Usa non riconoscono il nuovo sistema politico cracoviano, decadono così i diritti sui cittadini e rendono invalido il passaporto di Viktor. Non gli è concesso tornare a casa e nemmeno uscire dall’aeroporto per entrare ufficialmente in America. 

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Navorski è una falla nel sistema, al suo arrivo e allo stato delle cose risulta «inaccettabile». Costretto a rimanere nella zona di transito, reso simpatico dalla sua goffaggine, stringe amicizia con i dipendenti e fra un volo e l’altro incontra Amelia (Catherine Zeta Jones). Un’hostess che passa un paio di volte al mese per l’aeroporto e che porta con sé una vita molto distante da quella di Viktor, ma che il destino ha deciso di far combaciare nello stesso luogo.

L’attesa per ricominciare

The Terminal

La trama non è propriamente realistica, ma non deve esserlo. Si tratta di ispirazione e non di realismo: è la leggerezza contrapposta al disagio a fare da padrona. La storia risulta molto piacevole, scorrevole, divertente, con qualche scena straziante. Come il momento in cui Viktor realizza che è scoppiata la guerra civile nel suo paese; correndo da una parte all’altra dell’aeroporto cerca aiuto, ma pur essendo circondato da persone si rende conto di essere solo.

Vale la pena sentirsi soli dentro una stanza piena? Un uomo è costretto a rimanere in un luogo per motivi che non si sarebbe mai immaginato, senza sapere cosa succederà. In un periodo storico che come non mai ci sta chiedendo di essere pazienti, Viktor ci insegna ad aspettare.

The Terminal

Aspettare per qualcosa di più grande, magari una promessa fatta a un padre, che ha atteso quarant’anni ma non è riuscito a realizzare il suo sogno; è per questo che Navroski è a New York, perché nella borsa che porta sempre al suo fianco, c’è una promessa custodita in un barattolo.

Nel barattolo ci sono nove mesi in un aeroporto, in cui non sa niente dei suoi cari, in cui vede bruciare il suo paese nelle piccole tv delle sale d’attesa, nove mesi spesi per mantenere una promessa. Se basta questo per aspettare, allora forse si può fare per un bene superiore, il bene di tutti.

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Tom Hanks, in un film che cerca di essere leggero pur trattando temi importanti, riesce a rivestire il ruolo alla perfezione, coniugando semplicità e un finto accento dell’est Europa di tutto rispetto, con scene intense e commoventi. Si scontra spesso con Frank Dixon (Stanley Tucci), il responsabile della sicurezza dell’aeroporto, regalando allo spettatore scene di incomprensioni comiche ma che lasciano un po’ di amaro in bocca, nella più fantozziana concezione di comicità.

Portami a casa

The Terminal

Senza sapere una parola d’inglese e senza la minima conoscenza degli usi e i costumi del luogo, Viktor ci insegna che se non sei disposto a passare per stupido qualche volta non ti succederà mai niente di veramente incredibile, magari anche solo conquistare il cuore di un’hostess irraggiungibile. E che ovunque tu sia, e per quanto la situazione possa essere sgradevole, essere una brava persona, alla fine, ti rende l’unica persona accettabile fra migliaia di inaccettabili.


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