Introdotto al pubblico in sala dallo stesso regista, Lee Chang-yeoul, e dai due attori protagonisti Jung A-mi e Sun Dong-hyuk, A Song for My Dear è una delle pellicole presentate al Florence Korea Film Festival nella sezione Independent. Scopriamo quali sono le caratteristiche di questo film che hanno provocato il pianto (oppure il singhiozzo) di almeno tre quarti degli spettatori.
Di cosa parla A songo for My Dear
Dong-hyuk (Sun Dong-hyuk), insegnante di musica tradizionale coreana, nonché cantante, si trova nel bel bezzo di un periodo di pausa dalle esibizioni, quando a sua moglie Yeon-hee (Jung A-mi) viene diagnosticata una grave forma di demenza. Così, all’improvviso, l’uomo si ritrova a prendersi cura della sua amata guardandola dissolversi pezzo dopo pezzo, mentre lei deve convivere con la consapevolezza di poter perdere da un momento all’altro il controllo di sé…e molto di più.
Tutte le persone vivono sognando. Anche io ho vissuto sognando, ed oggi ho finalmente realizzato il mio sogno
Lee Chang-yeoul, ospite al Florence Korea Film Festival
Un fiume di lacrime
Il tema della demenza era già stato trattato nei film, e spesso da grandi produzioni Hollywoodiane: da Still Alice di Richard Glatzer e Wash Westmoreland, fino al più recente The Father di Florian Zeller, più volte ci siamo sentiti impotenti e distrutti di fronte alla rappresentazione di una malattia che ha del disumano ed è quindi ardua da sopportare, anche su schermo. Con il suo A Song for My Dear, Lee Chang-yeoul ha voluto proporre una versione ancor più reale (di certo più estrema) della demenza, propendendo per una regia semplice e priva di fronzoli, una colonna sonora solenne dai tratti tradizionali, e affidandosi alle interpretazioni di due grandi artisti.
La pellicola è intensa e struggente dall’inizio alla fine, e non risparmia l’irruzione di un forte senso di inquietudine nemmeno agli animi più irremovibili; è un ritratto fin troppo sincero di una malattia crudele come poche, capace di impadronirsi non solo del corpo di qualcuno ma anche, e soprattutto, della sua identità, ovvero di ciò che ci rende esseri umani.
Ed è proprio questa la paura che alberga nel cuore dei protagonisti di A Song for My Dear. Da un lato Dong-hyuk osserva sua moglie scomparire pian piano lasciando solo qualche traccia (esteriore) di lei; dall’altro, la stessa Yeon-hee è consapevole di essere destinata a scomparire, venendo costretta a manifestare i suoi desideri e le sue volontà in quei brevi momenti in cui la sua identità non viene annullata, e fa capolino. Nel complesso, osservare questa dinamica è doloroso e frustrante, a tratti talmente tanto da indurre qualcuno a pizzicarsi il braccio per essere certi di trovarsi realmente al cinema.
La rivincita del cinema indipendente
A Song for My Dear è il drammatico affresco di uno degli aspetti dell’esistenza che nessuno vorrebbe dover vivere sulla sua pelle, ma che insegna ad aggrapparsi all’ultima remota possibilità quando ogni speranza sembra venire meno. È una pellicola celebrativa dei rapporti umani più veri e infrangibili, quelli che anche le circostanze più avverse non sanno scalfire, ma anche un campanello di allarme atto a ricordarci che la vita reale sa essere più crudele di quanto meriteremmo.
C’è da chiedersi se rappresentare la versione peggiore della demenza sia stata una saggia scelta da parte di Lee Chang-yeoul, o se al contrario la mancanza di filtri induca nello spettatore più sensibile il desiderio di allontanarsi da qualunque prodotto di questo genere. Ma anche appurando che la pellicola sia adatta solo a cuori resistenti, è anche certo che migliore risultato non avrebbe potuto essere raggiunto trattandosi, oltretutto, di un independent film. D’altro canto, una grande produzione non lo avrebbe reso migliore, ma forse in occasione del Korea Film Festival avrebbe riempito l’altra metà della sala.
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