La sezione del Florence Korea Film Festival dedicata all’attore Lee Jung-jae prosegue con Assassination (anche noto come Amsal), pellicola a sfondo storico ambientata negli anni ’30, nel pieno dell’occupazione giapponese della Corea. Scopriamo perché il film è capace di giocare con sentimenti di patriottismo.
La storia vera dietro Assassination
Nel 1933 il Giappone detiene il completo controllo della Corea; ciononostante, numerosi gruppi indipendentisti attivi in madrepatria, in Cina e in Manciuria continuano a resistere agli oppressori stranieri talvolta pianificando attacchi mirati. Al fine di assassinare due esponenti coreani di un potente gruppo filo-giapponese il capitano Yem Sek-jin (Lee Jung-je), reduce da un attentato fallito, mette insieme un gruppo di ribelli comandati dal cecchino An Ok-Yoon (Jun Ji-hyun).
Ciò che i rivoluzionari non possono immaginari è che Yem è ormai da tempo una spia del Giappone, che in realtà sta tramando per sabotare la loro missione, e che ha intenzione di non risparmiare le loro vite.
Il confine sottile tra vendetta e ribellione
Il pubblico, quello sudcoreano in particolare, conosce gli effetti collaterali di una pellicola della portata di Assassination. Trattando il periodo storico forse più buio in assoluto per la Corea del Sud, Choi Dong-hoon ha scelto di toccare un nervo scoperto, risvegliare il patriottismo dei suoi connazionali e insieme anche il dolore legato al ricordo.
Di recente, grazie alla produzione di film e di K-drama, la realtà dipinta in Assassination è diventata in occidente sempre più familiare, ma non per questo meno coinvolgente o ripetitiva. L’effetto ottenuto, in una pellicola ben realizzata, è un pubblico scosso, nonché basito di fronte a un tale livello di disumanità.
Assassination vanta un cast corale di tutto punto, che comprende non soltanto il sopracitato Lee Jung-jae, ma anche due colossi del cinema sudcoreano come Cho Jin-woong e Ha Jung-woo, nei panni di Chu Sang-ok e Hawaii Pistol rispettivamente. Un rischio non indifferente, quello corso dal regista Choi Dong-hoon, che sceglie di riunire nella stessa pellicola più stelle che brillano di luce propria, con il rischio che si mettano in ombra l’un l’altra. Ciononostante, contro ogni previsione, Assassination resta fedele alla definizione di film corale, in cui i personaggi principali condividono la scena abbastanza equamente, senza che nessuno di loro perda importanza.
Il film mostra con fredda chiarezza due aspetti dell’invasione nipponica in Corea, da una parte il popolo dei resilienti bramoso di indipendenza ma bloccato in un limbo di accettazione, dall’altra la minoranza di traditori o disperati convinta che la libertà sia una causa persa da tempo; eppure i protagonisti di Assassination, fatta eccezione per Yem Sek-jin, non fanno parte né di una fazione né dell’altra.
Assassination non si perde in chiacchiere
I ribelli sono divorati dal rancore e dal dolore, tenuti in vita da una missione ben precisa, sia essa lottare per l’indipendenza o realizzare oscuri desideri di vendetta. In tal senso, il talento di Assassination sta nel saper confondere le due facce della medaglia, rendendo anche il pubblico in sala titubante riguardo ai sentimenti che dovrebbe provare.
Tra i prodotti riguardanti l’occupazione giapponese, Assassination non è certo uno dei migliori, ma vanta diversi punti di forza: ambientazioni riprodotte in modo quasi meticoloso, un cast di levatura notevole ben gestito, un ritmo narrativo serrato che non lascia spazio a momenti di stasi. Nonostante alcuni elementi della trama meritassero maggiore attenzione e approfondimento, Assassination si conferma una pellicola più che godibile, che non si perde in chiacchiere, capace di trasformare il pubblico in tifoseria. Una tifoseria che, purtroppo, quando si tratta di certe tematiche, non può che restare per un motivo o per un altro con l’amaro in bocca.
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