fbpx
bts-solo-documentaries

BTS Solo Documentaries, il nuovo viaggio da solisti di Suga e J-Hope

Proiettati al cinema i due docufilm in occasione del 10° anniversario dei BTS

/
12 minuti di lettura

Sono già disponibili su Disney Plus i BTS Solo Documentaries (J-Hope in the Box e Suga: Road to D-Day), docufilm che raccontano due membri del gruppo K-Pop BTS alle prese coi loro progetti da solisti concretizzatisi dopo l’inizio del periodo di hiatus della band. Una pausa che i fan di tutto il mondo hanno fatto fatica ad accettare, ma giudicata dai membri stessi uno step necessario alla loro crescita; e, a giudicare dalla produzione musicale che ha seguito lo scandalo e i pianti di massa, non possiamo che essere d’accordo con loro.

Di questa produzione fanno parte anche Jack in The Box e D-Day, due album che (diversamente dai precedenti) hanno visto rispettivamente J-Hope e Suga lavorare al di fuori del contesto BTS, slegati dalle limitazioni dell’industria e liberi di dare sfogo alla propria arte in una fase della vita che ben si prestava ad essere trasmessa al pubblico in suoni e immagini.

E proprio in occasione del 10° anniversario del debutto della band, i BTS Solo Documentaries sono arrivati in sala, seppure solo il 17 e 18 giugno. Un evento cinematografico di portata mondiale, cronistoria breve di un viaggio che per fan e non solo potrebbe essere fonte di spunti di riflessione; due pellicole celebrative da non guardare con gli occhi di un cinefilo bramoso di ammirare le tecniche di regia, ma con quelli di un fan di Suga, di J-Hope e della loro musica.

J-Hope In The Box, l’artista e i suoi nuovi colori

j-hope-bts-solo-documentaries

Rispetto al primo album da solista (Hope World), Jack in the Box ha qualcosa di nuovo e sconcertante, oltre al nero in sostituzione dei colori allegri alla J-Hope: è la durezza dei testi, dalle basi e la messa in scena, declinazione di un lato dark mai stato così pervasivo ma che comunque sembra appartenergli naturalmente. Una spontanea evoluzione di un artista emblema della spensieratezza nella sua versione più matura, schietta e audace.

Il primo dei BTS Solo Documentaries analizza tutte queste nuove sfumature: lo fa dapprima mostrando un J-Hope sperduto e nel pieno degli alti e bassi di ogni processo creativo, poi alle prese con la realizzazione di Jack in the Box e la sua promozione, per concludere con la mirabolante performance al Lollapalooza 2022 che lo ha visto dominare sotto ogni punto di vista. Ma tra un cambio scenario e l’altro il regista Park Jun-Soo inserisce sequenze di umanità, quelle che i fan vorrebbero sempre vedere per potersi sentire più vicini possibile ai propri idol.

Le persone conoscono molto bene i BTS, ma non sanno come J-Hope dei BTS fa la sua musica, quali passi compie per creare i suoi album e le sue performance o come funziona la promozione. Volevo mostrare tutte queste cose nel dettaglio.

J-Hope
bts-solo-documentaries-j-hope

All’entusiasta atmosfera del festival Lollapalooza si alternano momenti di fragilità e incertezza da cui emerge il fardello che ogni artista porta con sé: il senso di smarrimento che nasce dal blocco della scrittura o dal non riuscire a trasferire sullo spartito i suoni migliori, l’essere sul punto di cedere alla stanchezza e pietrificarsi per la paura di deludere il mondo. Ma più di tutto la consapevolezza di quanto in fretta una carriera tanto brillante si possa infrangere, causa il peso di aspettative incolmabili che grava giorno dopo giorno.

La pellicola mostra J-Hope emergere vincitore da questo buio, uscire interamente da quella fantomatica scatola che imprigionava il suo lato più maturo e feroce; e proprio grazie alle riprese del docufilm e ascoltando le tracce di Jack in the Box abbiamo la conferma che sia cresciuto, trasformato nella sua versione più completa poiché contaminata dal peso dell’esperienza. A dispetto di una seconda parte fin troppo prolissa, quasi noiosa, J-Hope in the Box si conclude con un propositivo sguardo al futuro, implicita rassicurazione da parte del protagonista di essere in forma e avere ancora molto da dare, rimanendo interamente sé stesso.

Suga: Road to D-Day, il racconto dietro le cicatrici

suga-bts-solo-documentaries-

Rispetto a quanto accaduto a J-Hope, la più recente fase di produzione di Suga (inaugurata con il rilascio di D-Day) non ha riservato particolari sorprese a livello di stile mantenendosi coerente con i due album precedenti, solo ancora più cupa e tagliente. Ma a differenza di August D e D-2 questo mixtape, secondo lo stesso Suga, racchiude la vera essenza di August D (suo pseudonimo da solista) tanto da fargli domandare se sia il caso, in futuro, di incidere altri album portando lo stesso nome.

Negli ultimi due anni la mia vita è stata piena di rumore. Piena di cose belle e piena di rumore. E non volevo che il rumore mi controllasse.

Suga

Road to D-Day , il secondo dei BTS Solo Documentaries, rivela i retroscena di un album che ha subito molte battute di arresto e le cui tracce hanno impiegato tempo a nascere poiché pezzi dell’anima del loro autore, impossibile da limitare con una deadline, come si sa. Dall’ardore di Haegum al grido di aiuto in Amigdala, fino alla consolante celebrazione dei sogni in Snooze, ogni pezzo di D-Day straborda di emozione e malinconia, tanto da sovraccaricare emotivamente ogni ascoltatore che abbia sperimentato una briciola di quanto i testi provano a esprimere.

bts-solo-documentaries-suga

D-Day è più simile a un flusso di coscienza che ad un semplice album da ascoltare quando si ha voglia; e in Road to D-Day questo flusso è interamente documentato, senza tralasciare l’insicurezza o la frustrazione da cui Suga si è lasciato logorare nel corso del viaggio alla ricerca dell’ispirazione. Ricerca che lo ha spinto a vagare per le strade di Las Vegas e a rifugiarsi tra le montagne dell’amena Dangjin, lontano dai bombardamenti mediatici di Seul, parzialmente responsabili di soffocare il suo genio creativo.

Come in J-Hope in the Box, ma ancora più intensamente, Park Jun-Soo riprende Suga in una fase artistica turbolenta da cui il rapper ha saputo tirar fuori il meglio di sé al prezzo di rivivere la peggior parte della sua vita; ma lo fa focalizzandosi su tutte le collaborazioni artistiche (Anderson Park, IU, Ryuichi Sakamoto) che hanno arricchito non solo ogni traccia di D-Day ma anche il loro autore e rinnovato l’entusiasmo nel suo animo stanco e provato.

Il secondo dei BTS Solo Documentaries si apre con Suga timoroso di avere perso la capacità di sognare e di non aver nulla da raccontare ai suoi fan, ma si conclude con l’artista che riscopre sé stesso e i suoi desideri. Dal viaggiare per il mondo alla ricerca di nuovi suoni al collaborare con quanti più artisti possibile, il tutto finché non sarà troppo stanco per continuare. Da fan non possiamo che alimentare questa speranza, per poter godere di ottima musica ed essere noi stessi ispirati da una persona la cui grandezza non può essere imprigionata in un docufilm.

BTS Solo Documentaries, fama e fragilità

bts-solo-documentaries-j-hope-in-the-box

J-hope in the Box e Suga: Road to D-Day sono docufilm non adatti ad un pubblico qualsiasi, ma fatti su misura per i fan di vecchia data che ben conoscono i due artisti in quanto membri dei BTS e quindi in grado di cogliere il perché dietro certe scelte a livello contenutistico. Introducendo la versione di J-Hope e Suga più naturale e grezza, spogliata dalle consuete sovrastrutture imposta dalle agenzie agli artisti del Kpop, Park Jun-Soo rende pubblica la scelta della Big Hit Music di concedere ai suoi artisti totale autonomia, se non altro a quelli con talmente tanto da dire da avere bisogno solo del supporto essenziale.

Pur non essendo perfetti nella realizzazione, nel caso di J-Hope In the Box non troppo efficace per capacità di intrattenimento, è da riconoscere ai BTS Solo Documentaries la capacità di fornire ai fan i mezzi per comprendere fino in fondo ciò che vedranno e ascolteranno nei prossimi anni, almeno fino al ritorno dei BTS sulla scena. Contestualizzando e spiegando le ragioni dietro ogni mossa, i docufilm non fanno che rafforzare i motivi per cui apprezzare i due artisti in ogni loro sfaccettatura, cogliere appieno cosa si cela dietro la loro musica e interiorizzare i messaggi che intendono veicolare.

Entrambi i documentari ribadiscono ancora una volta come gli idol non siano che idealizzazioni di persone comuni, benedette dal talento e arricchite dalla fama, bisognosi di supporto e di riconoscimento, oberati di lavoro, e in più schiacciati dal peso dell’immagine che il pubblico si costruisce di loro. Un’immagine che l’industria K-pop contribuisce anno dopo anno ad ingigantire ma che per i BTS, in questo caso Suga e J-Hope, ha sempre trovato piena corrispondenza nella sostanza.

D’altro canto è questo il motivo per cui il loro fandom è così grande, e i BTS Solo Documentaries non potranno che alimentarne la fame di musica.


Seguici su InstagramTik TokTwitch e Telegram per sapere sempre cosa guardare!

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club

Classe 1996, dottoranda in Ingegneria Industriale all’Università di Napoli Federico II, il cinema è la mia grande passione da quando ho memoria. Nerd dichiarata, accanita lettrice di classici, sogno di mettere anche la mia formazione scientifica al servizio della Settima Arte. Film preferito? Il Signore degli Anelli.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.