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Una scena dal film Diamanti di Ferzan Özpetek.

Diamanti, la scoperta dell’eterno femminino

8 minuti di lettura

“Il cuore mescola continuamente ciò che è successo con quello che abbiamo solo immaginato, i vivi con i morti, il visibile con l’invisibile, l’amore con il dolore”.

– F. Özpetek, Diamanti 

Roma, estate 2024. Un regista si aggira per le stanze vuote di una palazzina storica in Piazza Cavalieri di Malta, immersa in un silenzio che si dissolve quando dalle pareti iniziano a riecheggiare delle voci. Voci di donne. È la fine, ma è anche l’inizio.

Il regista è Ferzan Özpetek, le voci sono quelle delle 18 attrici protagoniste del suo ultimo film, Diamanti, in uscita nelle sale il 19 dicembre 2024, la palazzina in Piazza Cavalieri di Malta non è una palazzina qualunque, ma il luogo in cui è stata ricostruita la sartoria Canova, microcosmo che fagocita e avvolge le vite di un gruppo di donne – sarte, costumiste, modiste, ma prima di tutto madri, zie, mogli abusate, vedove sole, giovani rivoluzionarie – negli anni ’70.

Diamanti – quindicesimo film di Ferzan Özpetek, dedicato a Mariangela Mielato, Virna Lisi e Monica Vitti – si presenta fin dalle prime inquadrature come un film corale, ma è prima di tutto una lettera d’amore per il cinema, in cui la vita e la finzione si mescolano di continuo. Il regista sceglie di raccontare un mondo che conosce e che ha vissuto e osservato quasi di nascosto da assistente alla regia, quello della sartoria Tirelli (una delle più importanti sartorie di costumi per il cinema), che nel film è trasfigurata nella sartoria Canova, fondata e diretta dalle sorelle Alberta e Gabriella Canova, interpretate rispettivamente da Luisa Ranieri e Jasmine Trinca.

Gli elementi della sartoria come metafora della vita in Diamanti

Una scena dal film Diamanti di Ferzan Özpetek.

A interrompere la quiete nel microcosmo della sartoria Canova è l’arrivo di Bianca Vega (interpretata da Vanessa Scalera), costumista premio Oscar, che commissiona gli abiti per un film ambientato nel ‘700 e si aggira, dapprima esigente e solo alla fine fragile, per le stanze della sartoria – tra tessuti, merletti, perline, stoffe, manichini. Ma la sartoria non è solo un luogo di lavoro, non è solo lo sfondo: è una metafora della vita.

I bottoni rosa e i bottoni blu diventano, infatti, il simbolo della solidarietà femminile, perché sono stabiliti come parole in codice per opporsi alla prepotenza e alla violenza maschile; la crinolina che sorregge e sostiene gli abiti diventa metafora della gabbia in cui è imprigionata l’essenza delle donne; i metri di stoffa aggiunti di notte e di nascosto da Beatrice (interpretata da Aurora Giovinazzo) – giovane rivoluzionaria, nipote della ricamatrice Eleonora (Lunetta Savino) – fungono da elementi di distanza, di separazione da un destino di donna irrevocabilmente deciso da una figura maschile, di protezione dal mondo.

Infine, il bozzetto originale disegnato da Bianca Vega per la protagonista del film e realizzato solo alla fine segna il trionfo della genialità femminile che si libera dalle pastoie delle convenzioni e delle richieste maschili – in particolare da quelle del regista del film in lavorazione, interpretato da Stefano Accorsi -, che crede in se stessa e da essere niente diventa tutto.

Dai pranzi di Özpetek a The Dinner Party di Judy Chicago: cinema e arte attorno a una tavola

Passato e presente, realtà e finzione, film e lavorazione del film si mescolano di continuo. Diamanti non è solo un film, ma un metafilm, e Özpetek lo ricorda allo spettatore più volte: all’inizio, quando il regista convoca le 18 attrici per sottoporre loro la sceneggiatura di Diamanti; nel bel mezzo del film, quando improvvisamente dallo schermo si dilegua la sartoria Canova, Roma, gli anni ’70, e lo spettatore viene catapultato nel presente, durante le sedute di lettura della sceneggiatura a cui prendono parte le attrici e il regista in vista della realizzazione del film; alla fine, quando è Özpetek stesso a svelare l’inganno, o forse solo la magia.

C’è un elemento, tuttavia, che accomuna non solo la realtà alla finzione, il film alla lavorazione del film, gli anni ’70 al 2024, ma anche Diamanti a Le fate ignoranti, Mine Vaganti, Saturno contro: il pranzo. Diamanti, infatti, ha inizio con un pranzo, con una lunga, chiassosa e movimentata tavolata estiva cui prendono parte attrici e regista, e finisce con il pranzo, altrettanto chiassoso e movimentato, organizzato in occasione del compleanno della sartoria Canova, nella finzione.

Cosa è reale e cosa non lo è? È davvero essenziale comprendere se ci sia qualcosa di reale? Ciò che conta è che l’inizio e la fine siano segnati da una tavolata di sole donne (o quasi) che richiama, dal punto di vista iconografico, The Dinner Party di Judy Chicago, un’installazione artistica realizzata dal 1974 al 1979 e composta da 39 posti apparecchiati, disposti lungo una tavola triangolare, ognuno dei quali commemora una donna importante della storia – da Saffo a Eleonora d’Aquitania, da Elisabetta I a Artemisia Gentileschi, da Emily Dickinson a Virginia Woolf.

Diamanti, il dolore che continua a sopravvivere al dolore

A legare Alberta e Gabriella Canova non è solo la sartoria, ma anche la sofferenza: entrambe le donne, infatti, sperimentano il dolore che sopravvive al dolore. Nel caso di Alberta per un appuntamento con l’amore mancato, nel caso di Gabriella per la morte prematura della figlia: due tragici incidenti che segnano profondamente l’esistenza delle due sorelle, destinata a ricomporsi – dopo che Alberta ha trascinato fuori, con durezza, la sorella dalla non vita, e l’ha costretta a porsi di fronte allo specchio crudele della realtà – in un abbraccio che racchiude tutto, passato, presente e futuro, e che le avvicina a quel cielo verso il quale le donne, ovunque sia il loro sguardo, si protendono:

” Noi siamo collegate con le stelle, per questo sentiamo tutto”.

– F. Özpetek, Diamanti


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Classe 2003, studentessa di Letteratura Musica Spettacolo all'Università La Sapienza di Roma. Dolcemente nostalgica, ho iniziato a raccontare storie a 2 anni e da allora non ho mai smesso. Amo il cinema e la letteratura, colleziono tramonti, la mia mente è un film di Nanni Moretti.

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