Due anni dopo l’uscita del primo film, Millie Bobby Brown torna a raccontarci le sue avventure investigative in un sequel che si rivela più maturo e consapevole delle proprie potenzialità. Enola Holmes 2, su Netflix dal 4 novembre, sempre tratto dalla serie di romanzi bestseller di Nancy Springer, ritrova il duo creativo che ne ha decretato il successo. Harry Bradbeer (regista) e Jack Thorne (sceneggiatore) ripartono lì dove ci avevano lasciati, scommettendo su una detective story più intrigante e un’ironia intelligente per fortificare una storia che non si prende troppo sul serio ma è abile nell’inserire delle riflessioni interessanti, soprattutto in un’ottica di autoaffermazione declinata al femminile.
Saggiando con equilibrio lo sfondamento della quarta parete e sostituendolo con un voice over meno invadente, Enola Holmes 2 ci presenta una nuova serie di vlog sulla sua vita (perché l’estetica stilistica e contenutistica è quella della narrativizzazione social del proprio quotidiano), ammiccando allo spettatore come suo amico e complice nella risoluzione del nuovo mistero di questo capitolo.
Enola Holmes 2: una detective story tutta al femminile?
Consapevole e smaniosa di emanciparsi dalla figura del fratello, Enola ha avviato una sua agenzia investigativa ma fatica a essere presa sul serio: troppo giovane, troppo inesperta, soltanto sorella del vero Holmes.
La storia di Enola Holmes 2 si innesca a partire dalla scomparsa di Sarah Chapman (Hannah Dodd), le cui reali vicende sono spunto del film, e dal relativo ingaggio della giovane detective. L’intreccio è quello di un giallo più classico rispetto al suo predecessore: un delitto su cui indagare, una serie di indizi da snodare con metodo rigorosamente deduttivo e un susseguirsi frenetico di colpi di scena a rendere il tutto più entusiasmante.
Operaia presso una fabbrica di fiammiferi di giorno e ballerina di notte, Sarah è da subito presentata come complementare alla figura interpretata da Millie Bobby Brown. Il suo personaggio è funzionale ad aggiungere qualcosa a quel filone tematico che è secondario, rispetto alla superficie del racconto investigativo, ma centrale in questa rivisitazione moderna della famiglia Holmes: un giovanile femminismo.
Anche in Enola Holmes 2, tutti i personaggi che smuovono in prima istanza il racconto sono sempre donne: se la madre Eudoria (Helena Bonham Carter) funge da guida primaria della protagonista, ogni innesto femminile è capace di far partire un movimento nell’evoluzione della storia, là dove i personaggi maschili sono invece un complemento all’azione.
In questo senso, anche il nuovo villain inserito nel racconto, che parallelamente apre inedite linee narrative alla parabola di Sherlock, è una personalità interessante per più ragioni. Senza rischiare di incorrere in spoiler, si può dire che in Enola Holmes 2 l’antagonista si dipana in esplicito contrasto con quello della figura materna: se una ha compreso come farsi spazio in un mondo maschile assumendone, di fatto, i tratti caratterizzanti; l’altro ha saputo sfruttare i limiti dell’anonimato della sua posizione a proprio vantaggio.
Il tornaconto egoistico si scontra con l’ideale di una comunità ma da entrambi Enola ha qualcosa da imparare, soprattutto all’interno di un ecosistema valoriale in cui la propria mente è l’arma più preziosa da possedere.
L’alleanza: Enola e le figure maschili
Ben riuscite sono le costruzioni delle due figure maschili con cui Enola si relaziona: il fratello e l’interesse romantico Lord Twekesbury (Louis Partridge). Così come nel primo film, Sherlock Holmes (Henry Cavill) è un personaggio depotenziato rispetto a quanto siamo stati abituati a conoscere, meno sornione e più riflessivo, più vulnerabile e meno granitico. Non a caso l’opportunità di entrare in contatto con la propria emotività, contravvenendo al monito del distacco sensibile, consente ai due fratelli di creare un legame solido di collaborazione reciproca che si rivelerà essenziale per la risoluzione del duplice complotto su cui il film è costruito.
La strizzatina d’occhio della scena post credit di Enola Holmes 2 si inserisce in questo filone di intenzioni, ribadendo la volontà di raffigurare uno Sherlock più disponibile al legame emotivo e insistendo sull’essenzialità di Enola per questa sua maturazione.
Si riconferma significativa la decisione di disegnare le dinamiche tra Enola e Lord Twekesbury come invertite rispetto allo stereotipo di rappresentazione: lui è il polo emotivo e lei quello razionale, in uno scambio continuo che non teme la fragilità. Nel gioco fluido di alternanza di ruoli, Enola assume travestimenti maschili e femminili con estrema naturalezza e semplicità, sfruttando di entrambi le qualità che possono servirle per trarre vantaggio dalle situazioni. In Sherlock e Twekesbury la giovane investigatrice è capace di legittimare degli alleati e di comprendere che sapere stare da soli non significa doverlo essere per forza.
In Enola Holmes 2 l’idea di emancipazione fa un passo avanti rispetto al semplicismo del primo film: la necessità di un’autodeterminazione è integrata all’esigenza umana di associarsi all’altro e di ritrovare nella coalizione la forza di una voce che ha un eco più intenso.
L’intrattenimento non è una bassa aspirazione
Enola Holmes 2 è un film che va inserito nel suo contesto di riferimento: se il target di persone cui si rivolge è primariamente giovane, il tono con cui affronta le vicende che lo animano e le tematiche lo affollano è sommariamente leggero.
L’ironia che contraddistingue una Millie Bobby Brown molto convincente – e ormai icona del girl power audiovisivo- è la chiave d’accesso per un pubblico che ha la possibilità di muoversi, rassicurato, in una trama di facile decifrazione ma ben intessuta di riflessioni confezionate con ingegno, mai troppo pesanti e spesso brillanti.
Gli indizi e i rispettivi svelamenti sono sempre anticipati da uno sguardo registico che indugia su personaggi e passaggi in modo dilatato, eludendo la possibilità di un reale effetto sorpresa; il ritmo è sostenuto da un montaggio cinetico e trascinante (pur estendendosi in un minutaggio di nuovo un po’ eccessivo). Così lo spettatore si agia sulle sue capacità deduttive e allo stesso tempo si ritrova inserito in una parabola formativa che riguarda tutti gli esistenti del film e, di riflesso, anche se stesso.
L’acume, quello vero, di Enola Holmes 2 sta nel tratteggiare un racconto favolistico che non pretende mai di indottrinare ma che sa come intrattenere senza per questo lasciare il suo destinatario scevro di semplici, ma importanti, consapevolezze.
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