Nelle Case Magdalene ci eravamo già infiltrati attraverso la complementarità dei racconti di Peter Mullan (Magdalene, 2002) e Stephen Frears (Philomena, 2013). Sex in a Cold Climate (Steve Humphries, 1998) aveva prestato la voce del documentario alle testimonianze di quattro donne sopravvissute all’orrore di quegli istituti. Ora, Piccole cose come queste penetra nelle pagine del romanzo di Claire Keegan e trasferisce sullo schermo l’istantanea di uno sguardo introspettivo, il mosaico intimista di una coscienza errante sulla via del risveglio.
Il film di Tim Mielants, al cinema dal 28 novembre 2024, si aggrappa agli occhi intensi di Cillian Murphy per rievocare il trauma delle Magdalene Houses, catapultandosi nel cuore di una ferita sanguinante attraverso un’attenta concatenazione di economicità narrativa e complessità compositiva.
Piccole cose come queste si tiene a distanza dagli istituti cattolici che fino al 1996 ospitavano ragazze dalla condotta “immorale e peccaminosa”, ripudiate dalle famiglie e spersonalizzate da un sistema punitivo di espiazione della colpa, logorate senza volontà riabilitativa dallo sfruttamento lavorativo, gli abusi fisici e le violenze psicologiche. Nelle Case Magdalene ci si entrava perché orfane o colpevoli di aver perso una presunta purezza fisica e morale; fuori da esse ci si adagiava sulla presunzione di saper preservare la propria innocenza.
Piccole cose come queste zampilla intorno alla responsabilità etica di un dramma intergenerazionale, annidando nell’epifania di Bill Furlong un interrogativo che ammonisce tutti quanti: a fronte di un’ingiustizia subita, accettata e occultata dall’omertà di un’intera comunità immobilizzata, è così difficile fare la cosa giusta?
Piccole cose come queste, il conflitto interiore di un uomo gentile
Bill Furlong (Cillian Murphy) è un uomo gentile. Lo attestano i suoi gesti quotidiani, lo sguardo dolce e pacato di un’espressività ambivalentemente rivolta verso l’altro e accartocciata dentro di sé. Il suo lavoro da commerciante di carbone lo porta a girovagare per la piccola cittadina di New Ross, punteggiando gli spazi rigidi di un’Irlanda che si prepara al Natale, dentro e fuori dal convento che ne centrifuga il collettivo rigore comportamentale. Il campanile svetta al centro di ogni inquadratura su cui scorrono i titoli di testa e lì, regolarmente, Bill si dirige per consegnare il suo carbone.
Chi siano le inquiline di quel luogo sembrano saperlo tutti, protagonista compreso, ma la consapevolezza non impedisce all’uomo di percepirsi inquieto. Fino a quando, durante una delle consegne di quei giorni tutti uguali, Bill si ritrova ad assistere al tensivo sopraggiungere di una nuova penitente. Dall’oscurità della rimessa in cui deposita il suo carico, lo scorgiamo origliare le urla di dissenso tra la giovane e i genitori, ne osserviamo spavento e apprensione, fino al limite in cui il visibile ci permette di indugiare. Poi, la ragazza viene trascinata all’interno dell’istituto, e da lì Piccole cose come queste inizia ad avvampare, precipitando nel riavvio lento e processuale di una sofferta rivalsa morale. Di un uomo solo e di un paese intero.
Sbordato tra linee narrative, Piccole cose come queste sceglie di soggiornare nel conflitto interiore di Bill Furlong, solleticando il suo passato per setacciarne le spinte sul presente. Nel rimbalzo esule tra i flashback della sua infanzia ricongiungiamo i margini di un dolore mai lenito. Figlio di una madre sola, Bill deve le possibilità del suo futuro alla benevolenza di una donna, la signora Wilson, che gli ha fornito accoglienza in casa propria, permettendo alla mamma di lavorare come domestica e salvandola dal destino delle Case Magdalene. Dove, oltre a vivere una vita di reclusione e isolamento, anche il legame con il figlio le sarebbe stato strappato via.
In quei riformatori (in cui il cineasta non entra quasi mai), le donne erano intimate a seguire l’esempio espiatorio di Maria Maddalena, ripulendosi dai peccati della carne tramite l’estenuante e simbolico lavaggio dello sporco del bucato. Qui, Piccole cose come queste tergiversa sul reiterato tentativo di Bill di sgrassare dalle mani il nero del carbone, formalizzato dalla volontà di cancellare i segni di un passato che continua a tormentarlo.
Di compassione e di silenziosa ribellione
Eppure, quel ritorno cadenzato all’indietro, negoziato da un’esistenza presente in cui Bill si paralizza nel terrore, rappresenta per l’uomo l’occasione per riflettere sulle opportunità fortunate di una vita che avrebbe potuto prendere tutt’altre direzioni. E così, a poco a poco, la rivisitazione della miseria irrisolta nell’infanzia si trasforma in proiezione di un’azione da compiere nel presente. Ora, infatti, Bill è un uomo adulto, padre di cinque figlie e marito di una donna (Eileen Walsh) con cui fatica a comunicare. Il progressivo smascheramento delle sconvolgenti verità del convento innesca in lui un mormorio di ribellione, che al riscatto dell’altro congiunge una simultanea guarigione di sé.
Perché, in fin dei conti, Piccole cose come queste non è che la contemplazione del crollo emotivo di un uomo, del successivo e graduale affiorare di un senso di colpa, di compassione e responsabilità che lo rende incapace di continuare a chinare il capo. Le persone attorno a lui provano a disincentivarlo, ma Bill non può esimersi dal chiedersi dove finisca il potere concesso all’iniquità di quell’ossequiosa omertà religiosa, spingendosi oltre il limite massimo per ricavare delle risposte da sé. E se l’avvicinarsi delle suore rischia di arginarlo, sottoponendolo alla corruzione e al ricatto della madre superiora (una luciferina Emily Watson), tra le mura femminili di casa le cose non sembrano andare molto diversamente.
Piccole cose come queste, bastano a ripulire una coscienza?
Piccole cose come queste è un piccolo e dignitoso quadro meditativo, assiderato dentro una livida fotografia, che riecheggia nelle sue ombre l’offuscamento tenebroso di una coscienza sporca, cupa e in attesa di conoscere la luce. L’urgenza narrativa di Mielants intercede attraverso un’aritmia visiva che poco si poggia al dialogo ma molto vacilla tra lunghi piani sequenza e istantanee inquadrature fisse, da cui lasciar sgorgare il carico emotivo. Questa dialettica di stasi e movimento collabora con il cammino introspettivo del protagonista, mimandone paralisi e slanci in avanti e accompagnandolo verso il catartico gesto finale.
La camera di Piccole cose come queste sa dialogare con lo spettatore attraverso la densità di un linguaggio cinematografico capace di accordare l’essenzialità della narrazione alla sua speculare precisione compositiva. In questo modo, il film peregrina tra soffocanti interni e austeri esterni, intervallando le esistenze di superfici che s’interpongono alla reciproca partecipazione e frazionano ogni possibile coesistenza fisica.
Ma se quello di Bill è il racconto di un uomo che impara a valicare una ad una le sue soglie, Piccole cose come queste ha bisogno di affidarsi alla ricorsività di situazioni sempre uguali, di pedinare il suo protagonista in un ciclico andirivieni nel tempo, nello spazio e negli stadi della consapevolezza, registrandone le micro-variazioni. Queste nascondono l’esitazione ansiosa di un Cillian Murphy trattenuto, mai così autentico nell’espressione della sua fragilità. E che ci rivelano il peso reale di un’empatica e doverosa insurrezione morale, dissipata nei piccoli gesti e i continui ritorni di un uomo capace di correggere e increspare gli equilibri di un’intera comunità, trasgredendone le regole.
Nei titoli di coda, il campanile suona acusmatico sul nero dello schermo, e nell’impotenza della sua visione sembra ancora tornare a chiederci: quali scuse ci raccontiamo per non fare la cosa giusta?
Seguici su Instagram, TikTok, Facebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!