Se c’è una cosa che Heartstopper ci ha insegnato, arrivati alla sua terza stagione, è di affidarci con tranquillità al tracciato narrativo che ha modellato per noi. Ripercorrendola a ritroso, la serie è da sempre stata in grado di riprendere le fila delle sue singole argomentazioni, allineandole con omogeneità a un discorso sull’adolescenza che si è fatto via via più stratificato, pur mantenendo un armonico bilanciamento tra intensità e leggerezza tonale.
Heartstopper 3, uno dei titoli di testa di casa Netflix, aumenta con garbo il suo coefficiente di difficoltà, accedendo a una profondità che si carica di complessità e s’imbatte nella malattia mentale, i disturbi alimentari e la sessualità con la solita delicata sensibilità. Il racconto, espansione mediale della graphic novel di Alice Oseman, continua ad essere rappresentazione virtuosa di come barcamenarsi tra rapporti umani e maturazione personale, seguendo l’instabile perimetro di un percorso che conduce alla graduale comprensione e accettazione della propria identità, dentro e fuori dalle relazioni interpersonali. Quando si incontra Heartstopper ci si sente immediatamente accolti in un confortevole spazio di empatia, ma da dove si ricava tutto il comfort di cui la serie si fa dolcissimo rifugio emotivo?
Cosa ci dicono scrittura ed estetica di Heartstopper
La risposta più semplice sarebbe: ovunque. Heartstopper è un concentrato densissimo di particelle che sanno lavorare insieme per un fine comunque, a partire dall’elemento che più lo caratterizza: la sua estetica. Con Heartstopper 3 siamo invitati a ri-attraversare quel ponte sospeso tra realtà e animazione, un limbo di continuità con la fonte originaria che attinge al fumetto per universalizzare quanto raccontato.
Gli ormai riconoscibilissimi effetti grafici contribuiscono a formalizzare gli stadi emotivi più intimi dei personaggi, connettendoli alla sensibilità dello spettatore ancor prima di essere esternalizzati dai protagonisti. All’intensificarsi dei sentimenti, Heartstopper 3 risponde sfaccettando il proprio linguaggio grafico e fotografico: il raffreddamento cromatico e le nuove stilizzazioni iniziano a invadere il candore confortante delle distintive tonalità pastello, ombreggiando la serenità di un percorso di crescita che si scopre più cupo.
Al contempo, la cura del particolare associa il design del reale alla materializzazione degli elementi scenografici fuoriusciti dal fumetto, sprigionando una tridimensionalità soffice che impreziosisce l’arredo coeso e accogliente della sua spazialità. Il comfort visivo di Heartstopper è da ricercare nell’unione morbida delle sue componenti e, va da sé, ha un ruolo primario nell’aiutare lo spettatore a lasciarsi andare.
Così come rasserenante è la misura delle interpretazioni dei protagonisti, capaci di restituire un’autenticità mai sopra le righe e sempre sintomatica dell’età di cui raccontano. La scrittura, dal canto suo, ha dimostrato di saper seguire uno schema espositivo lineare, guadagnandosi una fiducia consolidata nel tempo e armonizzata alla discrezione narrativa della sua messa in scena.
Ogni passaggio della vita di Nick e Charlie (e di alcuni comprimari) ha sempre trovato un proprio calibrato processo di elaborazione. A ben vedere, piccoli dettagli del dissidio interiore di Charlie e del disagio performativo di Nick sono sparpagliati tra le stagioni, rileggibili con più rotondità alla luce delle informazioni che mano a mano si sono aggiunte alla nostra conoscenza. Così, anche quando alcuni aspetti della loro psicologia sembrano un po’ lasciati al caso, Heartstopper ci insegna a non dubitare che verranno problematizzati. Facendoci sentire, ancora una volta, rassicurati.
Di cosa parla Hearstopper 3? Il diario di Charlie e Nick
Dopo essere sgattaiolata tra il coming out di Nick (Kit Connor) e l’innamoramento con Charlie (Joe Locke), Heartstopper 3 comincia a riassemblare alcuni pezzi disseminati nel suo ecosistema narrativo, immergendosi nelle crepe delle rispettive personalità.
L’anoressia nervosa e il disturbo ossessivo compulsivo di Charlie esplodono sullo schermo a supporto di un ciclico processo d’interiorizzazione delle proprie complessità. In Heartstopper 3 Charlie impara a chiedere aiuto, costringendosi ad affrontare le sfide della sua salute mentale attraverso un periodo di terapia prima trascorso in una clinica specializzata e poi integrato alla quotidianità. Accanto a lui, Nick si ritrova a fare i conti con il proprio trauma: l’impotenza. Lui, come la madre di Charlie e la sorella Tori, dovranno capire cosa significa sostenere una persona in difficoltà, senza farcisi risucchiare.
Se da un lato la forza di Heartstopper 3 sta nell’aver saputo nuovamente trovare il giusto gradiente di osservazione, non cedendo mai a una romanticizzazione grafica del dolore, dall’altro questa stagione ha permesso allo spettatore di collegare alcuni punti fino ad ora rimasti sconnessi. La diagnosi di Charlie trova infatti in Heartstopper 3 una molteplicità di cause concatenate: al centro riscopriamo il rapporto con la madre, donna incapace di localizzare le proprie apprensioni attraverso l’ascolto e per questo figura altalenante e opprimente per il figlio. Capiamo che Charlie sembra aver reagito alla strabordante emotività materna con una remissiva espressione dei propri sentimenti, evadendo verso una chiusura sempre più debilitante e rigettata nell’autolesionismo.
Ad aggravare il quadro, la conferma del trauma si riallaccia al bullismo subito al momento dell’outing, quando Charlie, ancora una volta, ha imparato a valorizzare le attenzioni in maniera negativa, introiettandole come minacce e relative perdite di controllo. Quindi la malattia mentale trova spiegazione nella ricerca di regole applicate ossessivamente al cibo e alla volontà di restituire all’esterno una narrazione di sé edulcorata e non conflittuale, nella speranza di recuperare parte di quel controllo. Nel corso di Heartstopper 3 Charlie dovrà quindi affrontare i suoi limiti, smarcandosi dal trauma nel tentativo di acquisire gli strumenti per reagire diversamente ad esso, nobilitando la processualità incerta della guarigione e riscoprendo un’identità non dipendente da quella del fidanzato: Nick.
Dal canto suo, Heartstopper 3 comincia a suggerire quale sarà la strada da percorrere. Abbandonato da un padre assente e aggredito da un fratello rabbioso, la sfera del maschile familiare di Nick ha da poco iniziato ad emergere come la matrice di alcuni suoi tratti caratteriali. Per emanciparsi dall’inaffidabilità di entrambe le figure, Nick è finito per sovra-responsabilizzarsi, contenendosi nelle vesti strette di un supereroe dalla forte performatività affettiva. Sebbene Heartstopper 3 abbia solo iniziato a sagomare il suo progressivo trascurarsi in favore delle persone che ama, viene spontaneo immaginare che la scelta dell’università e la scoperta della propria identità all’infuori di Charlie rappresenteranno il nucleo della prossima stagione della serie.
Accanto a ciò, Heartstopper 3 ha iniziato ad esplorare i desideri e le esitazioni delle loro pulsioni sessuali, approcciando a un’intimità declinata alla specificità dei singoli vissuti: non solo di Nick e Charlie, ma anche di tutti gli altri personaggi.
Heartstopper 3 tra inclusività e criticità
Al seguito di Nick e Charlie, e del loro tenero avvicinamento alla sessualità, l’arco narrativo designato per Tao ed Elle continua ad essere quello meglio spalleggiato da una profondità di racconto. Di Tao (William Gao) ripeschiamo dal suo passato il modo in cui la morte del padre ha inciso sulla sua paura di rimanere solo, rimando in insicurezze con il personale psicologico di Nick.
Elle (Yasmin Finney), invece, è da sempre stata protagonista di una rappresentazione normalizzante della sua identità di genere, fiancheggiata da una creativa indagine dei suoi colori caratteriali. L’incontro con la sessualità e lo scontro con la società permettono ad Heartstopper 3 di incoraggiare l’approfondimento di alcune delle sfide che è chiamata a sostenere in quanto ragazza trans: dalla disforia di genere come prova di fiducia nella relazione con Tao, alla strumentalizzazione manipolatoria della sua individualità nel corso di un’intervista radio. Resta da capire, però, se Heartstopper sceglierà di darle qualche dimensione aggiuntiva, considerate le potenzialità inespresse del suo personaggio.
Discorso simile per Isaac (Tobie Donovan). In Heartstopper 3 lo troviamo – e lasciamo – ancora circoscritto all’elaborazione di ciò che l’essere asessuale e aromantico significa per la sua vita e il suo futuro, soprattutto vedendosi marginalizzato dal microcosmo cui appartiene. Oltre a veicolare un discorso educativo su come l’amore debba saper coesistere con l’amicizia, Isaac soffre la mancanza di uno spazio di narrazione di sé che ottenga validazione dalle persone a cui tiene.
Tara (Corinna Brown) e Darcy (Kizzy Edgell), invece, affrontano off-screen un’evoluzione che sembra in qualche modo anticipare e ricalcare i passi di quella di Nick e Charlie, fungendo quasi unicamente da aiutanti dei rispettivi protagonisti. Come coppia, in Heartstopper 3 comprendono come supportarsi senza oltrepassare i reciproci confini d’indipendenza. Se Tara è sopraffatta dalla gestione delle aspettative che il futuro ha su di lei, Darcy prosegue nel suo cammino di esplorazione, compiendo un arco completo – ma lacunoso – di scoperta della sua identità non binaria.
Non si può negare che il progressivo aumentare di tematiche e complessità di Heartstopper 3 abbia giocato a discapito della completezza corale, relegando nuovamente lo sviluppo di alcuni personaggi a ruoli di spiacevole marginalità e affidandosi a volte con troppa ingenuità ad alcune lezioncine da manuale, poco affini alla naturalezza generale della serie.
Il comfort di Heartstopper supera la realtà e la ridefinisce
All’Heartstopper seriale, indubbiamente, sembrerebbe non guastare qualche sfumatura in più. Al netto della sua invidiabile intelligenza emotiva, risulta difficile credere che questa possa davvero appartenere a tutti i personaggi, eccezion fatta per chi bidimensionalmente scritto come villain. Il dispositivo narrativo è ormai consolidato, mitigato da un meccanismo (apparentemente) facilitato di risoluzione dei problemi.
La reiterazione è confortante, certo, ma l’appianamento dei conflitti rischia di sottrarre qualcosa alla forza del racconto: a un certo punto si ha la sensazione che qualsiasi problema non sia realmente avvalorato come tale, data la “semplicità” della sua risoluzione. Ed è proprio qui che entra il gioco il tipo di comfort di cui Heartstopper vuole farsi casa. La criticità del suo funzionamento va aggirata e osservata nella logica dei suoi stessi presupposti di realtà, giacché l’identità audiovisiva di Heartstopper si debilita e rafforza proprio nei punti di rottura.
Quando si scava più a fondo nell’identificazione spettatoriale, infatti, ci si accorge che il principio di rassicurazione, o alienazione, che guida Heartstopper non alberga nella facile o sognante cancellazione dei contrasti, al contrario è custodito dallo sguardo generoso di un’adultità che sceglie di prendere per mano la giovinezza e ridisegnare la sua crescita, integrando la conflittualità all’interno di un ciclo che può essere sanato, senza eccezionali forzature narrative. Heartstopper 3, come le altre stagioni, non ha fiabescamente eliminato le difficoltà: le ha attraversate, esperite e assimilate alla normalità, con una tale spontaneità da risultare irreale.
E allora è lì che si ricava il comfort di cui Heartstopper si fa rifugio, nel modo in cui Alice Oseman ci ha permesso di dirottare quella percezione di irrealtà sulla via più sana, formativa e auspicabile alla ridefinizione della nostra realtà.
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