Le serie d’autore conquistano Venezia 81: dopo Disclaimer di Alfonso Cuaròn, è Thomas Vinterberg con Families Like Ours (Familier som vores) a dominare il Lido con un prodotto seriale di alta qualità e alle prese con problematiche sociali contemporanee.
Ci sono due grandi punti in comune tra le due serie: oltre al recare entrambe la firma di due grandi auteur del cinema che si cimentano per la prima volta con il dispositivo della serie, entrambe affrontano una questione collettiva partendo dalla disamina di una famiglia e delle sue dinamiche.
Ma se Disclaimer si immerge nel presente con uno sguardo ai nodi irrisolti del passato, Families Like Ours fa un piccolo passo in avanti, collocandosi in un futuro prossimo spaventosamente vicino al nostro presente.
A partire dalla questione ecologica, Vinterberg mette in scena un racconto che mostra l’intersezione tra questioni come l’emergenza climatica, l’emigrazione e la questione securitaria e l’impatto sulla vita degli individui. E per farlo sceglie come scenario del disastro la Danimarca, ribaltando la narrazione tipica e ponendo una domanda provocatoria: e se fossero i cittadini europei ricchi e privilegiati a diventare rifugiati, costretti a lasciare il proprio Paese e a cercare ospitalità presso altri Stati?
La Danimarca travolta da una catastrofe naturale
Families Like Ours si apre sull’orlo del baratro ma senza mostrare l’abisso. Il governo ha deciso di evacuare la Danimarca a causa dell’innalzamento del livello del mare che sommergerà il Paese. Una notizia che si diffonde piano, con incertezza: non è detto che succederà, se ne era già parlato, nulla è sicuro.
Ma alle voci di corridoio seguono in poco tempo le conferme ufficiali: dalle telefonate in famiglia tra Jacob, Nikolaj e Henrik si passa ai comunicati televisivi del governo, ai piani di espatrio e alle sovvenzioni statali per far espatriare tutti. Le strade non sono ancora allagate, ma è questione di tempo e lo saranno: panoramiche di una Copenaghen sempre più vuota si alternano alle scene del grande esodo, di file oceaniche ai traghetti diretti in diversi Paesi europei e di persone in coda in fuga dalla catastrofe invisibile e ineluttabile.
Il baratro prende forma, l’abisso assume un peso e una consistenza specifica e tangibile: quella dello sradicamento, della separazione dalle persone amate, della disgregazione. All’improvviso si ha la consapevolezza che il proprio Paese, tutti i luoghi che conosciamo e abbiamo vissuto, non esisterà piu. E cosi come la Danimarca sarà sommersa dall’acqua anche il popolo danese, senza una patria in cui ritornare, è destinato a perdersi e a disgregarsi.
Vinterberg in Families Like Ours parte da una premessa da romanzo distopico – solitamente declinata secondo i canoni di generi come lo sci-fi – e la sviluppa all’interno di una sfera intima e circoscritta come quella familiare. La calamità naturale subisce una riduzione di scala.
Vinterberg non la rappresenta attraverso scenari apocalittici dalle dimensione imponenti, ma la cala all’interno di un contesto familiare e quotidiano ben delimitato, ne illustra gli effetti nei rapporti individuali, nelle singole famiglie, nei gesti che ognuno mette in atto giorno dopo giorno per far fronte alla catastrofe.
Families Like Ours tra intimismo e politica
A cosa aggrapparsi quando ogni nostro legame viene reciso? Cosa ci rimarrà quando tutto quello che conosciamo verrà spazzato via? Sono queste le domande che i protagonisti di Families Like Ours devono affrontare all’improvviso: mentre osserviamo le vicissitudini di questa famiglia divenuta apolide non possiamo che cercare le risposte insieme a loro.
Questioni intime che diventano sentimenti condivisi nel momento in cui un intero Paese è sul punto di sprofondare nelle acque, portandosi con sé tutti i morti sepolti in quella terra.
La morte, esperienza universale e culturale al tempo stesso, con le diverse tradizioni funebri che recano il segno di come ogni cultura celebra ed esorcizza questo momento di passaggio, è l’unica cosa autorizzata a rimanere sulla terra danese.
I primi episodi di Families Like Ours si chiudono con questa sorta di canto per i morti danesi, gli unici rimasti a popolare e proteggere una terra sul punto di diventare un grande cimitero. Un invito che viene ripetuto più volte, per ricordare a coloro che sono costretti ad abbandonare i propri morti di portarli con sé tenendoli nei loro cuori.
L’elemento politico, sebbene all’interno della sfera domestica, è sempre presente: in Families Like Ours Vinterberg sceglie una famiglia benestante, i cui membri avevano addirittura accesso a informazioni governative riservate sull’esodo con giorni di anticipo.
È proprio il privilegio a fungere da spartiacque: la prima parte di Families Like Ours mostra i diversi modi in cui questa famiglia mette in atto il suo privilegio durante la situazione di emergenza e la lenta e inesorabile perdita di quel diritto di nascita di cui hanno goduto per tutta la vita.
La seconda parte di Families Like Ours mostra il precipitare della situazione: dal ritmo lento dei primi episodi, dominati dal tentativo di gestire e razionalizzare la tragedia con lunghe conversazioni sulle scelte finanziarie, gli Stati in cui ricollocarsi e le trafile amministrative, si passa alle difficoltà materiali e alla sofferenza intrinseca all’esperienza del rifugiato.
Dalla perdita del privilegio si passa alla perdita di ogni diritto: il diritto ad avere una casa e un lavoro, a vivere in condizioni sicure, a essere trattati come esseri umani. Si perde il diritto all’amore, a vivere con i propri affetti, costretti a separarsi senza nemmeno avere la certezza di potersi rivedere perchè non ci si può più spostare liberamente.
Dai viaggi senza documenti in mano ai trafficanti di esseri umani e la violenza verso gli immigrati che si consuma nei luoghi di confine, fino al razzismo istituzionale che sfrutta la burocrazia per punire ed espellere.
Families Like Ours mostra senza fare sconti a nessuno gli scenari di un futuro prossimo che è già presente. Non c’è nulla di distopico negli scenari di Vinteberg e non c’è nessuna profezia: sono le conseguenze naturali del sistema in cui già viviamo. Per usare le parole dello stesso regista nel presentare la serie: «Nel peggiore dei casi, uno sguardo sul futuro. Nel migliore, un’espressione delle nostre comuni paure e un riflesso di quello che tutti vorremmo poter conservare».
Seguici su Instagram, Tik Tok, Facebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!