Narrazioni, verità, menzogne, pulsioni. Questi sono gli elementi alla base della struttura complessa e articolata di Disclaimer, prima serie televisiva di Alfonso Cuarón presentata fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia: attraverso la storia della giornalista Catherine Ravenscroft (Cate Blanchett) il regista messicano intesse un racconto che ci immerge nella certezza illusoria dei ricordi e ci porta a riflettere sui nostri impulsi e sugli imperativi morali che ci costruiamo intorno.
Disclaimer in breve, brevissimo
Catherine Ravenscroft è una giornalista che ha costruito la sua carriera sullo svelare gli scheletri negli armadi degli altri: la sua reputazione si basa sulla sua integrità morale, sul suo essere una persona integerrima e trasparente. Venerata dall’opinione pubblica e dai colleghi di lavoro, madre di famiglia irreprensibile e moglie fedele e amorevole: questa è l’immagine pubblica di Catherine.
Almeno fino a quando un libro intitolato The Perfect Stranger non irrompe nella sua vita e in quella del marito Robert (Sacha Baron Cohen) e del figlio Nicholas (Kodi Smith McPhee) insieme a una serie di vecchie fotografie di un viaggio in Italia che sconvolgeranno la vita di Catherine.
Disclaimer, tratto dal romanzo di Renée Knight, si svela subito allo spettatore con una limpida dichiarazioni d’intenti: fin dal primo episodio la voce di Cate Blanchett ci parla delle «narrazioni che ci distraggono dalla verità». Un’avvertenza, come recita il titolo stesso, una sorta di monito posto a sigillo della serie che ci invita a mettere alla prova ciò che vedremo con i nostri occhi.
Ma la narrazione prosegue e si dilata nel tempo, confondendosi con la realtà e rendendo sempre più labile i «margini della verità»: una sorta di narratore pseudo-onnisciente ci racconta i sentimenti, le intenzioni dei personaggi, svelando anche gli istinti più meschini che si nascondono dietro le azioni più altruiste e generose. Più si va avanti, più Disclaimer sprofonda negli abissi dell’animo umano, illuminandone gli aspetti più biechi e opportunisti.
In questo dilatarsi del tempo del racconto il dispositivo seriale è di cruciale importanza ai fini della storia che Cuarón intende portare sullo schermo: seguire la storia che si articola nel corso dei sette episodi ci permette di immergerci nell’amalgama di narrazioni che viaggiano parallele, si incrociano, collidono e si contaminano. Cuarón, con grande consapevolezza del mezzo e con la sua abilità nel costruire i personaggi e gli ambienti che abitano e in cui si rispecchiano ci permette di essere partecipi della storia in modo autentico, di abbassare le difese e dimenticare l’avvertimento iniziale.
Disclaimer ci mette nella posizione di farci prendere in contropiede e di interrogarci. Di farci distrarre dalle narrazioni per poi coglierci in quella distrazione, per poter interrogare in modo più radicale lo strumento della narrazione e tutto il carico di emozioni e rimossi che ci mettiamo dentro.
I margini della verità che si spezzano
Nel corso dei sette episodi si consolida un microcosmo in cui poche vite si incrociano e si ingarbugliano dando forma a una matassa di segreti, di omissioni, di rabbia e di dolore. Rabbia e dolore che si intensificano nell’assenza e nel silenzio e si solidificano col passare del tempo, fino a trasformarsi in risentimento e sete cieca di vendetta. In questo abisso di sofferenze taciute e di solitudini non ci sono regole: tutto diventa lecito, ogni azione diventa un attacco letale e l’unica soddisfazione sta nell’annichilimento dell’altro, nella negazione della sua umanità.
Disclaimer scava nelle narrazioni e nelle sovrastrutture che si creano attorno ad esse e ne evidenzia il potenziale punitivo: le storie che ci raccontiamo e le persone che creiamo nella nostra mente per rendere la realtà più comprensibile e tollerabile possono essere usate per ferire, distruggere, disciplinare e punire.
Quando le narrazioni cancellano la complessità dell’essere umano invece di raccontarla e illuminarla possono diventare pericolose: Disclaimer non fa quest’errore, e oltre al mettere al centro questa complessità sia dal punto di vista tematico che strutturale arriva alla radice delle narrazioni e mette al centro le emozioni umane che ci spingono a costruire storie con tutte le loro sfumature: desiderio, vergogna, amore, rancore, dolore.
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