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Una scena de Les Enfants du Paradis

Les Enfants du paradis, un grande canovaccio surrealista

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7 minuti di lettura

Uno scorcio di vita contaminata dall’arte, il teatro come spazio dove il passato e il futuro si fondono in una danza sfrenata di maschere e di volti. Ambientato nella Francia dell’Ottocento e girato durante la Seconda Guerra Mondiale, Les Enfants du paradis di Marcel Carnè, uno dei capisaldi del cinema francese, è un grande canovaccio in cui gli attori portano su di sé la polvere di un’era passata e il tumulto di un’epoca di transizione.

«Un attore, che razza! Io do ragione alla Chiesa che li sotterrava di notte» esclama sarcastico il bandito-autore Lacenaire, uno dei protagonisti. Un’ironia amara, dato che in Les Enfants du Paradis non sono solo i componenti della compagnia teatrale dei Funambules a essere attori, e l’azione comica o tragica che sia non è confinata al palco o al dietro le quinte, ma si riversa sulla platea fino a raggiungere il loggione (l’espressione Les Enfants du Paradis sta proprio a indicare «quelli del loggione»).

Il confine tra attore e spettatore, tra chi agisce e chi osserva è un territorio ampio e inesplorato, dove persino coloro che si muovono al loro interno perdono coscienza del proprio ruolo.

Les Enfants du paradis, tra il teatro ottocentesco e la Francia occupata

Una scena de Les Enfants du Paradis

Sesto film nato dalla collaborazione tra Carnè e il celebre poeta Jacques Prèvert, autore della sceneggiatura, Les Enfants du Paradis ha alle spalle una storia produttiva complicata: non poteva essere altrimenti dato che il film fu girato durante la Seconda Guerra Mondiale nella Francia di Vichy.

Oltre alle difficoltà date dalla guerra, Les Enfants du Paradis subì due grandi battute d’arresto: la prima data dallo sbarco degli Alleati in Sicilia e dall’abbandono della casa di produzione italiana Scalera Film, e il secondo dall’allontanamento del produttore André Paulvé a causa delle leggi razziali del regime di Vichy.

Ma le tribolazioni si estendono ben oltre il periodo delle riprese fino a intaccare la distrubuzione e la struttura stessa del film: Les Enfants du paradis fu distribuito negli Stati Uniti in una versione fortemente ridotta che stravolgeva l’essenza stessa del film, riducendolo a una semplice storia d’amore. La stessa sorte colpisce la versione italiana, uscita con il titolo di Amanti perduti e con soli 95 minuti di durata a fronte degli originali 190.

Siamo nella Francia di Luigi Filippo: il fulcro dell’azione è il Boulevard du Temple, sede principale dei teatri francesi nonché della vita criminale della capitale (infatti era anche conosciuto come il Boulevard du Crime, titolo con cui all’epoca venne distribuita la prima parte del film, diviso in due episodi per i cinema francesi). Il miscuglio tra arte e realtà viene ribadito a livello strutturale: tre su cinque dei protagonisti principali sono celebri figure realmente esistite dell’Ottocento francese. Il mimo Baptiste Debureau, il grande attore Frédérick Lemaître e l’affascinante e truculento bandito dalle velleità poetiche Lacenaire.

Questi uomini, più il conte di Montray, gravitano tutti intorno alla carismatica ed enigmatica Garance, interpretata da Arletty: tutti sono innamorati di lei, e ognuno di essi le offre un amore e una prospettiva di vita diversi, tutti improntati sui loro caratteri archetipici.

L‘amore delicato e taciuto del mimo Baptiste, soffocato dalla sua insicurezza e dai suoi pudori, che nonostante tutto persiste ostinato nel tempo alimentando una malinconia ancora più profonda di quella che si dipinge sul viso; la stabilità austera e le offerte di protezione del conte di Montray, simbolo di una nobiltà che è già morta ma ancora non lo sa; la violenta bramosia di Lacenaire e la bonaria dissolutezza di Lemaître.

Tra vita e teatro, tragedia e farsa

Una scene de Les Enfants du Paradis

Tutti i sentimenti, il sangue versato e gli anni passati finiscono per sfociare nella folla del Carnevale: tra maschere, balli e burle scompaiono gli amanti perduti che si inseguono fuori dal nostro sguardo. Tra commedia e dramma c’è anche il vituperato vaudeville, la farsa, che altro non è che ripetizione della tragedia.

Quella stessa farsa nominata dal subdolo Lacenaire quando, sul punto di aprire le tende per svelare i due amanti sul balcone, con un gesto teatrale che racchiude in sè quel tragico aggroviglio tra realtà e finzione, fa una battuta sulla (poca) differenza tra tragedia e commedietta, paragonando il dramma della fedeltà del sovrano tradito alla «volgare storia di corna» del resto del popolo.

In Les Enfants du paradis, le piccole tragedie umane si dissolvono nel caos di una folla festante e sfigurata, dove i tratti umani si confondono con gli sguardi variopinti e le smorfie stilizzate delle maschere e l’esito di un grande amore viene affidato alla marea umana che festeggia il Carnevale. Festa in cui tutti mettono da parte il proprio io indossando i panni di qualcun altro, e attraverso la finzione raccontano qualcosa di sé, qualcosa di recondito che da segreto si trasforma in burla; festa spirituale e profana, dove tutto è concesso e tutto viene perdonato.

Una metafora calzante per il macrocosmo istrionico e barocco de Les Enfants du paradis, il quale attraverso questo Carnevale riaggiornato dalle tinte romantiche e surrealiste, dove le emozioni diventano le uniche maschere attraverso le quali comunicare il proprio essere, si fa racconto monumentale di un’epoca e dei suoi crepuscoli.


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Classe 1999, una delle tante fuorisede in terra sabauda. Riguardo periodicamente "Matrimonio all'italiana" e il mio cuore è diviso tra Godard e Varda. Studio al CAM e scrivo frammenti sparsi in giro per il mondo.

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