«Senza la speranza, la vita non vale la pena di essere vissuta. Devi dare alla gente la speranza… gli devi dare la speranza».
Milk è un film del 2008 diretto da Gus Van Sant con la sceneggiatura di Dustin Lance Black; si tratta di un cosiddetto biopic (biographic picture), vale a dire un film che racconta la vita di un personaggio. Il personaggio in questione, già annunciato nel titolo, è Harvey Milk, omosessuale e attivista politico degli anni ’70, interpretato magistralmente da Sean Penn, che per questo ruolo ha ricevuto un Oscar. Oltre a quello per il Miglior attore protagonista la pellicola può vantare anche un altro Oscar, quello per la Miglior Sceneggiatura, e svariate candidature ai maggiori premi cinematografici statunitensi e non.
Harvey Milk è stato il primo gay dichiarato a ricoprire una carica istituzionale negli Stati Uniti d’America. La sua carriera politica, iniziata nel 1970 e costellata inizialmente da molti insuccessi, si conclude tragicamente nel 1978, quando viene assassinato dall’ex-consigliere comunale (suo collega) Dan White. Nel 2009 Barack Obama ha conferito a Milk la massima decorazione degli Stati Uniti, la Presidential Medal of Freedom, eppure la storia di quest’uomo non è molto conosciuta, neppure a San Francisco, la città dove visse; onore, dunque, a Gus Van Sant e a Dustin Lance Black per aver fatto conoscere al pubblico le battaglie di questo grande uomo con un film che ripercorre fedelmente gli ultimi otto anni della sua vita.
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Il film si apre con una serie di immagini di repertorio di omosessuali sbattuti fuori dai bar oppure arrestati. Alternate ad esse compare Harvey Milk, intento a registrare su un nastro i passi del suo percorso politico da ascoltare, dice, nel caso fosse stato assassinato. E infatti la scena successiva è quella dell’annuncio del suo omicidio. Con un flashback si torna indietro al 1970, quando Harvey è un anonimo assicuratore di New York, omosessuale non dichiarato. Quando incontra l’amore della sua vita, Scott Smith (interpretato da un eccezionale James Franco), decide di trasferirsi insieme a lui a San Francisco, nel quartiere di Castro, cuore della comunità gay della città, e di aprire un negozio di fotografia, il Castro Camera. Ben presto l’attività diventa un vero e proprio centro di aggregazione non soltanto per gli omosessuali, ma anche per tutti coloro che vivono ai margini della società. Da questo alla vera e propria attività politica è un passo molto breve: Harvey, sostenuto dai suoi amici, si candida come consigliere comunale per tre anni consecutivi, ottenendo all’ultimo tentativo la meritata vittoria.
Inizia così la sua battaglia politica per i diritti della comunità LGBT, che culmina nella bocciatura della cosiddetta Proposition 6, una proposta di legge che, se approvata, avrebbe impedito agli insegnanti omosessuali di esercitare la professione. Insieme a quella politica, anche la vita sentimentale subisce rapidi cambiamenti: Scott, incapace di sopportare la pressione, lo lascia e Harvey si rifugia in una relazione morbosa con un fragile giovane latino, Jack Lira. Nonostante le difficoltà, Harvey ha finalmente raggiunto i suoi obiettivi, ma il successo porta alla rottura con Dan White (Josh Brolin), suo collega ed ex-alleato, che lo incolpa del fallimento delle sue proposte e della fine della sua carriera. In un momento di esasperazione, alla fine, Dan entra in municipio e spara al sindaco, colpevole di non averlo reintegrato nel suo ruolo, e ad Harvey.
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Gus Van Sant ha consapevolmente scelto di realizzare un film lineare, in stile documentaristico, che lasciasse posto all’ascesa politica di Harvey Milk ma anche alle manifestazioni di protesta degli omosessuali (d’altra parte, come ricorda Harvey, «Io non sono un candidato, io sono parte di un movimento: il movimento è il candidato»). A questo scopo il registra realizza alcune scene con un effetto straniante, che porta lo spettatore quasi a identificarsi con la storia: il veloce cambio di inquadrature durante le scene di lotta, ad esempio, ci fanno sentire come se fossimo anche noi lì, pugno chiuso e slogan urlati a squarciagola (un quadro purtroppo molto attuale). Un grande contributo è dato anche dalle molte scene di repertorio, combinate a quelle girate in modo tale che ci si debba sempre chiedere se sta guardando qualcosa di realmente accaduto oppure no: incredibile e commovente, accompagnata da un’eccezionale colonna sonora, è la scena finale nella quale, per commemorare Milk, 30mila persone sfilano per le vie di san Francisco con una candela accesa, una scena per la quale le immagini riprese dagli elicotteri quel 27 novembre 1978 si alternano in una vera, grande sfilata alla quale hanno partecipato gli abitanti della città.
Con il taglio che il regista ha dato al film qualcosa doveva essere sacrificato: questa volta è toccato alla parte più sentimentale e alla caratterizzazione dei personaggi principali. Una grande nota di merito va agli attori non protagonisti, che hanno saputo colorare il quartiere di Castro con personaggi unici ma assolutamente umani, da Cleve Jones, il giovane disilluso di Phoenix poi divenuto il braccio destro di Milk, a Dick Pabich, attivista convinto ma incapace di fare coming out con la sua famiglia. Van Sant, invece, si è un po’ dimenticato (forse volontariamente) di Dan White, che poteva meritare un approfondimento: il legame con Harvey è stato certamente più intenso di quanto il film mostri e più di una volta sembra di poter capire che nel loro rapporto controverso si possa leggere un grave conflitto di Dan con la propria sessualità. Harvey stesso è dipinto di luci e ombre: l’eroe coraggioso, che fa di sé un bersaglio umano per sensibilizzare l’opinione pubblica, nella vita privata non è poi così limpido; lui stesso dice di aver avuto molte difficoltà ad ammettere la propria sessualità in passato, tanto da aver quasi spinto alcuni dei suoi compagni al suicidio, e il rapporto quasi malato con Jack poteva essere un’occasione per esplorare questo lato del personaggio.
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Ma le eventuali mancanze del film sono frutto di una scelta consapevole, non di trascuratezza. Nel complesso, Gus Van Sant e Dustin Lance Black hanno compiuto un lavoro magistrale, raccontando uno dei grandi personaggi del movimento per i diritti omosessuali e lasciando che fosse la storia nella sua semplicità a regalare emozioni.
«Se dovesse esserci un omicidio, in cinque, in dieci, in cento, in mille siano a levarsi in piedi. Se una pallottola mi trapasserà il cervello, che serva a distruggere ogni muro dietro cui ci nascondiamo».
Di Silvia Ferrari
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