Abbiamo lasciato nel primo film Norman Nordstrom (Stephen Lang), cieco ex marine, con il desiderio di riavere una figlia. Vuole una figlia e se la prende. Nessun prezzo è tropo alto. Dopo il primo film Man in the dark del 2016, che ha ottenuto un grande successo di critica e di pubblico, Fede Alvarez e Rodo Sayagues tornano con L’uomo nel buio, in sala da giovedì 21 ottobre. Un sequel (che fa quindi coppia con il compagno di sala Halloween Kills) non all’altezza della prima pellicola, ma comunque godibile, se si chiude un occhio.
L’uomo nel buio: da black a grey
Un uomo cieco, solo, in casa, riceve la visita inaspettata di alcuni ragazzini ladri che penetrano nella sua abitazione forti del fatto che il proprietario sia un anziano cieco. Cosa potrebbe mai andare storto? Nel primo film Man in the dark conosciamo il terribile antagonista della storia. Spietato, insensibile a tutto e tutti, vuole solo raggiungere il suo obiettivo: riavere una figlia di cui occuparsi dopo che la sua gli è stata strappata via. E per averla scopriamo fin dove è disposto ad arrivare…
Ne L’uomo nel buio però la situazione assume una piega diversa anche se la storia mantiene la stessa struttura: uomo cieco, brutale che uccide tutti sfruttando a suo favore la sua invalidità. Norman infatti, il cattivo della situazione, è in questo sequel il meno cattivo di tutti. Un antieroe che diventa un eroe agli occhi della bambina che decide di adottare fingendosi il padre naturale.
La piccola Phoenix viene infatti trovata dopo un incendio, familiare per chi ha visto il primo film. Allenata e allevata come figlia di Norman, si troverà presto a dover affrontare la dura verità: quello accanto a lei non è il vero padre. Tuttavia farà di tutto per salvare la piccola dai veri cattivi de L’uomo nel buio, dei trafficanti d’organi particolari che hanno molto a cuore questa ragazzina. Un cattivo che si cerca di umanizzare, portandolo alla redenzione attraverso l’amore della bambina.
La fine di un mostro, o forse no?
Un cambio di rotta notevole dunque, che cerca di far passare il mostro per un uomo pentito. Ma l’uomo che ci è stato presentato nel primo film non è perdonabile. Non è sufficiente infatti uccidere i “più malvagi” nei modi più brutali e goduriosi che tanto piacciono, perché nel primo film si sono scoperti degli scheletri nell’armadio di Norman troppo ingombranti per chiedere ora il perdono per le azioni passate a noi spettatori che assistiamo a L’uomo nel buio.
Un uomo il cui amore per la bambina è più simile ad un desiderio di possesso, ma che alla fine capisce di dover lasciar andare, come vogliono tutti i film di redenzione. Chiudendo un occhio su questa direzione “buonista” un po’ forzata, L’uomo nel buio si lascia guardare con piacere, anche se c’è inevitabilmente una sensazione di déjà vu e anche se alcune morti hanno un taglio improbabile, con un umorismo da film horror anni ’80.
Daredevil, sei tu?
Nella prima pellicola capiamo subito che Norman non è un povero cieco indifeso, anzi. Ma a portarlo in vantaggio in una situazione di apparente svantaggio per lui, era il fatto che il tutto si compie in un habitat a lui familiare, la sua casa. Anche se al buio, Norman conosce ogni angolo di casa sua ed è proprio quello il bello della pellicola, l’elemento che ci lascia senza respiro, respiro che Norman sentirebbe nella totale oscurità (non per niente il titolo originale è Don’t Breathe).
Ma ne L’uomo nel buio, Norman si trova costretto ad abbandonare il suo luogo sicuro e conosciuto per avventurarsi nel covo dei trafficanti d’organi. Un luogo che non può certo conoscere e che dunque lo dovrebbe portare in una situazione di inevitabile svantaggio. Ma così non è. Quasi vestito di poteri soprannaturali, Norman salva la fanciulla in pericolo, chiede scusa e se ne va. Sipario.
Nel buio della sala non prendete troppo sul serio L’uomo nel buio, ma prendetelo per quello che è: un thriller che non mancherà di intrattenervi.
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