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Survival Horror, quando il gioco si fa duro

Cosa rende i giochi sadici un piacere dello spettatore? Scopriamo i segreti del Survival Horror attraverso i titoli che ne hanno fatto la storia.

6 minuti di lettura

Survival Horror. Una delle tante sottocategorie dei film dell’orrore. E una sottocategoria di questa sottocategoria è declinata in un filone che ha avuto grande successo: i giochi sadici. Ma cosa rende questo filone davvero vincente, a tal punto da creare pellicole memorabili, e quali sono invece gli elementi che lo fanno affondare? Scopriamo i segreti del Survival Horror attraverso i titoli che ne hanno fatto la storia.

Survival Horror a enigmi

Survival Horror Saw

Quando si parla di questo genere, il primo titolo che viene in mente è Saw, l’enigmista (2004). Una fortunata serie di nove capitoli partorita dalla mente di James Wan, che però non ha soddisfatto completamente le aspettative. Se il primo film aveva convinto gli amanti del genere grazie agli enigmi intriganti e alle scene splatter cariche di suspense scandite da un timer inesorabile, dal terzo capitolo in poi le cose vanno precipitando. Il motivo è semplice: le regole sono state infrante.

Torniamo bambini per un attimo. Stiamo giocando a campana. O a nascondino. O a facciamo finta che. Non importa quale sia il gioco: tutto si rovina nel momento in cui qualcuno bara. Sono le regole a rendere un gioco un bel gioco. E quando queste non vengono rispettate qualcosa si rompe. Sia che si tratti di un gioco per bambini o di un film horror che basa tutto il suo orrore su un sadico gioco. Lo spettatore infatti sta al gioco nel momento in cui le regole sono chiare. Magari sarà un regolamento perverso, dove tutto è concesso pur di vincere, ma saranno quelle poche e ben scritte norme a rendere il tutto credibile.

John Kramer, alias Jigsaw, lo sapeva bene. Le regole del suo gioco erano cristalline: se riesci a prendere la chiave per liberarti dal congegno mortale a cui sei collegato prima dello scadere del tempo, hai vinto. Certo, magari rimarrai mutilato, shoccato per sempre, ma ritroverai la voglia di vivere.

Survival Horror Saw

Ma Amanda, la seguace dell’enigmista, bara. Per quanto tu ti impegni, alla fine, morirai. Non è più divertente. Lo spettatore così non proverà più un sentimento “empatico” nei confronti del cattivo che, sì ok è un perverso criminale, ma le regole le rispetta. Lo spettatore si sente imbrogliato, come un bambino che non può vincere al suo gioco preferito. A questo si aggiunge il fatto che ormai, tutti gli altri seguiti si scardinano dalla morale originale per mettere solo in scena un granguignolesco carosello di torture per teenager. Game Over, Saw.

Piccola chicca: se cercate la prima chiave introdotta in un torace, non la troverete qui, ma in L’abominevole Dr. Phibes (1971) dove un decisamente più elegante e spaventoso Vincent Price si vendica a suon di torture del suo amore perduto.

Leggi anche Vincent Price: la nobiltà dell’horror

Ma se Saw è il primo survival horror game che ci viene in mente, non è certo questa pellicola ad aver gettato le basi per questo filone.

Come criceti in un labirinto, The Cube (1997)

Survival Horror The Cube

Altrettando famoso e ancora più seminale di Saw, The Cube di Vincenzo Natali (1997) ha lasciato un segno nel fanta-thriller a basso budget. Sei sconosciuti si risvegliano in un labirinto cubico dove ogni stanza potrebbe nascondere una trappola mortale. Chi l’ha costruito? Alieni? Poteri forti? Nessuno ce lo svela. E va bene così. Quello che conta per il regista la reazione degli esseri umani. Chi perde la maschera rivelando il mostro che è, chi invece sfiderà laser e acidi per salvare il più debole. Un Grande Fratello cubico dove noi, per una volta, siamo l’occhio.  

Se queste due pellicole hanno come tema una sfida con se stessi per svelarsi e migliorarsi, in una direzione diversa va invece un altro filone: il survival horror legato al divario sociale. La struttura rimane la stessa. C’è un gioco sadico che rappresenta in modo grottesco le disuguaglianze sociali. Poveri contro poveri o poveri contro ricchi. Come nel caso di Squid Game, serie rivelazione sud coreana che ha spopolato nel 2021.

Fine del gioco

Di film potremmo citarne moltissimi, ma quello che conta è capire perché questo meccanismo ha così tanto successo. La risposta è semplice: catarsi, con una buona dose di voyerismo. Fin dai tempi della tragedia greca, la violenza messa in scena è fondamentale per purificare l’animo con una dose da cavallo di terrore e pietà.

Osservando le sofferenze e le sfide dei “giocatori” lo spettatore, al sicuro con la sua ciotola di popcorn caldi, può immedesimarsi nel personaggio più virtuoso e sentirsi a posto con la coscienza. Nessuno di noi sotto sotto rischierebbe di finire sotto le macchine mortali dell’enigmista, in caso contrario la morale del film potrebbe spingerci a reagire e a riappropriarsi della nostra vita.

Fate il vostro gioco.


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Ciao! In queste poche righe mi devo descrivere e ne sto già sprecando parecchie quindi andiamo al sodo. Sono Azzurra, copywriter freelance e mi occupo di comunicazione creativa. Figo vero? Dalla mia bella Verona scrivo per lavoro e per passione. Venite a trovarmi! Sono quella col cappello e l’orologio da taschino.

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