Venezia 81 finisce e Manas, diretto da Marianna Brennand, torna a casa con il GdA Director’s Award in tasca. Presentato nella selezione ufficiale delle Giornate degli Autori, Manas ha regalato alla giuria “un’incredibile esperienza condivisa” perché ritrae con delicatezza e sensibilità “qualcosa di profondamente universale”. Brennand, già documentarista e qui al suo debutto al lungometraggio, dà voce alle donne e alle bambine dell’isola brasiliana di Marajó, vittime di abusi in una società che silenzia e normalizza la violenza di genere.
![MANAS - Actress Jamilli Correa / Tielle(Credits Carolina Benevides) in una scena del film su una chiatta commerciale](https://i0.wp.com/www.npcmagazine.it/wp-content/uploads/2024/09/Manas-Jamilli-Correa-in-barca-verso-una-chiatta-commerciale.jpg?resize=1024%2C502&ssl=1)
Manas entra in punta di piedi nella quotidianità di Marcielle (Tielle), che vive con la numerosa famiglia in una palafitta: va a scuola, aiuta in casa, disegna, guarda la TV con gli amici. Ha tredici anni ma è sveglia e piuttosto seria per la sua età. L’ingresso nella pubertà, però, apre la porta agli abusi sessuali e ai maltrattamenti del padre, che avvengono sotto lo sguardo angosciato e impotente della madre.
Tielle viene imprigionata in un vortice di violenza, false promesse e omertà. La chiatta commerciale dove pensava di fare qualche soldo e trovare la rifugio, è solo un altro covo di abuser. Se non può fuggire, cosa fare? Dovrebbe sopportare il padre finché questo non verrà sostituito da un altro uomo violento incrociato su una chiatta?
Manas è stato scritto da Felipe Sholl, Marcelo Grabowsky, Marianna Brennand, Antonia Pellegrino, Camila Agustini, Carolina Benevides. Il film è prodotto da Inquietude in co-produzione con Globo Filmes, Canal Brasil, Pródigo, Fado Filmes, con il supporto di Ancine, FSA-BRDE, República Portuguesa Cultura – ICA. Tra i produttori associati spuntano i nomi dei fratelli Jean Pierre e Luc Dardenne.
Lontano dalla pornografia del dolore
Manas è la prova che si può raccontare la violenza domestica esimendosi dalla pornografia del dolore. Marianna Brennand evita di mostrare nudità e stupri, lavora piuttosto sugli sguardi (la Tielle della giovanissima e brava Jamilli Correa affida la recitazione agli occhi), le sensazioni, i suoni.
Con il direttore della fotografia Pierre de Kerchove e lo scenografo Marcos Pedroso, costruisce atmosfere serene, sospese, fatte di piccoli gesti quotidiani e fugaci momenti di felicità, spezzati dalle urla del padre di Tielle. Brennand prende molto dall’esperienza come documentarista, lasciandoci osservare con calma situazioni, ambienti, personaggi. Nessuna spettacolarizzazione, e Manas arriva dritto dove vuole colpire, e finisce esplodendo in un epilogo potentissimo.
Marianna Brennand ha commentato così il lavoro fatto sul film:
Durante una ricerca per un documentario da girare nei villaggi della foresta amazzonica, ho incontrato donne vittime di traumi indicibili fin dalla più tenera età. Avevano subito abusi sessuali all’interno delle loro case, oltre a essere sfruttate sessualmente su chiatte commerciali, praticamente, senza alcuna possibilità di fuga. Purtroppo, la maggior parte di noi donne ha una storia di abuso sessuale, morale o psicologico, che ha lasciato cicatrici profonde. Il Me Too e altri movimenti per i diritti delle donne ci hanno incoraggiato e permesso di rompere il silenzio e di denunciare gli abusatori in tutto il mondo. Ma che dire di queste donne invisibili di cui non conosciamo nemmeno l’esistenza?
Si può dire che Brennand sia riuscita nel suo intento e abbia trovato la formula più delicata per affrontare la tematica della violenza (su minori, tra l’altro) con etica e rispetto.
Manas, una storia di sorellanza
In portoghese, Manas significa sorelle. Il rapporto con le sorelle è il movente delle azioni della protagonista, che in esso trova anche la forza di sbrigliarsi dal vortice di violenze in cui è costretta. Tielle ha anche dei fratelli, ma Brennand spinge sulle relazioni al femminile. In Manas, non compaiono mai uomini che non siano abuser o non supportino gli abuser. Piuttosto, ci sono generazioni di donne che si incontrano e si riconoscono nel ciclo della violenza che nessuna, fino a Tielle, è riuscita a spezzare.
La sorellanza è intesa in senso ampio: non ci sono soltanto sorelle di sangue, ma sorelle di vita, solidali ognuna a modo suo. C’è l’agente di polizia che protegge Tielle e si oppone al padre; ma anche la proprietaria del negozio del villaggio, che capisce la ragazzina e si mette al suo livello, seppur incapace di offrirle aiuto perché vittima lei stessa della società patriarcale.
A differenza di quanto avviene in Phantosmia di Lav Diaz, altro film di Venezia 81, qui la ragazza protagonista trova la libertà in completa autonomia, senza intercessione maschile. Ma come avviene in Diaz, a questa libertà si accede per mezzo dell’omicidio, quello dell’abuser. In entrambi i casi, dove non è arrivata la legge arriva la giustizia privata.
Marianna Brennand rifugge il femminismo liberale, idealizzato, finto. Manas cresce come un Achai, mette radici nella foresta amazzonica, lontano dai riflettori. Ci fa da Caronte in una discesa agli inferi di un pezzo di mondo dove la denuncia della vittima di violenza di genere non trova spazio e non conta niente, ancora meno che negli USA e in Europa se possibile. L’unica strada è la ribellione, la resistenza radicale, un omicidio lucido nella disperazione.
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