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Venezia 81 – Stranger Eyes, il rompicapo di Siew Hua Yeo

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7 minuti di lettura

Stranger Eyes di Siew Hua Yeo, in lizza per il Leone d’Oro a Venezia 81, è una bella sorpresa. Film ipnotico, è quello che gli inglesi definiscono edge-of-your-seat: nessuno si alza dalla poltroncina prima che tutti i pezzi del puzzle siano al loro posto. Irriducibile a un’etichetta precisa, Stranger Eyes si maschera da detective movie, a tratti neonoir, a tratti thriller, finché abbatte i confini del genere e diventa altro. La narrazione incede lentamente ma chi guarda è in tensione costante, alla ricerca dell’ultimo tassello che risolve il Tetris.

 Actress Anicca Panna (Credits Akanga Film Asia Juliana Tan) in un frame di Stranger Eyes
 L’attrice Anicca Panna in Stranger Eyes (Credits Akanga Film Asia Juliana Tan)

Stranger Eyes è scritto e diretto da Siew Hua Yeo e prodotto da Akanga Film Asia (Fran Borgia), Volos Films (Stefano Centini), Films de Force Majeure (Jean-Laurent Csinidis), Cinema Inutile (Alex C. Lo), quest’ultima già produttrice di Happyend di Neo Sora, presentato nella sezione Orizzonti di Venezia 81.

Stranger Eyes, la sinossi è solo un punto di partenza

Una coppia di giovani genitori ha subito il rapimento della figlia piccola al parco. Il senso di impotenza e smarrimento che ne consegue guida le azioni della famiglia – mamma, papà, nonna – che indaga sul caso in parallelo alla polizia, della quale si fida poco. La narrazione incede lentamente, chi guarda è in tensione costante, vuole sapere come andrà a finire: la bambina verrà ritrovata?

Ma la sparizione è soltanto un pretesto per portare alla luce un quadro più ampio, o meglio è un punto di partenza per raggiungere qualcosa di più stratificato: qualcuno spia la famiglia? Forse tutti spiamo qualcuno? Stranger Eyes si costruisce senza fretta e spiazza lo spettatore che ha la pazienza di attendere l’epilogo (se volete avere una spiegazione del finale, andate dritti all’ultimo paragrafo).

Voyeurismo contemporaneo

 Lee Kang-Sheng  in Stranger Eyes nel ruolo dello stalker che poi si rivela essere il doppio del personaggio principale
Lee Kang-Sheng in Stranger Eyes (Credits Akanga Film Asia Christopher Wong)

Come in un film di Apichatpong Weerasethakul, non si ha mai la certezza di essere sulla pista giusta, che quello che stiamo vedendo sia reale. A Land Imagined di Siew Hua Yeo (ora su Netflix, ndr) era già un film di presenze, fantasmi, visioni, in quel caso gettati in un contesto concreto come quello della denuncia politica e sociale; Stranger Eyes è altrettanto ipnotico e ricalca quelle atmosfere. Si aggancia a un diverso tema d’attualità, la proliferazione dei sistemi di videosorveglianza negli spazi pubblici urbani, problematizzando la questione senza scadere in semplicismi. Questa scelta di scrittura si traduce in una regia che spinge sulla soggettiva e sul voyeurismo fin dalla prima inquadratura.

Siew Hua Yeo scrive una sceneggiatura sofisticata a incastro, poi la mette su schermo rispettandone i tempi e i dettagli. Un riferimento può essere La Conversazione, per i modi e per i temi. Come e forse ancor più che nel capolavoro di Coppola, in Stranger Eyes lo sguardo voyeuristico domina: entriamo nelle vite dei personaggi attraverso gli occhi di altri di loro, sostituendoci a questi ultimi. Il regista inquadra ossessivamente le videocamere, occhi meccanici che sorvegliano i cittadini al parco, al supermercato, per strada. Oppure riempie lo schermo cinematografico con un altro schermo, per mostrare una registrazione video o una ripresa in tempo reale. O ancora, indugia sugli sguardi – sugli occhi stranieri del titolo.

Siew Hua Yeo stesso ha ammesso che a Singapore “non c’è via d’uscita dalla rete di sorveglianza, osservare ed essere osservati diventa un rituale quotidiano”. I personaggi di Stranger Eyes si sentono spiati e spiano a loro volta. In questo spiare gli altri, pedinarli in spazi liminali, fissarli con insistenza, cercano la loro identità e una via di fuga dalle loro insicurezze.

Spoiler: il finale di Stranger Eyes spiegato

Nei pochi minuti finali, tutti i frammenti si ricompongono in una storia circolare. Stranger Eyes parla di stalking, pendinamenti, sorveglianza, ma anche di famiglie e rapporti di genitorialità. Per buona parte del film, siamo concentrati a scoprire chi ha rapito la bambina scomparsa. Il fatto di per sé angosciante e doloroso perde importanza quando la piccola viene improvvisamente ritrovata, e di botto capiamo che noi spettatori abbiamo mancato l’obiettivo per tutto il tempo.

Spunta un nuovo personaggio: forse un’amante del padre della bimba? Ha avuto altri flirt, ci sembra naturale che questo sia solo un altro esempio. E che fine ha fatto lo stalker della moglie di lui? Come poteva avere in casa i vestitini e la cavigliera che la bambina indossava al momento della scomparsa, se non è lui il rapitore?

Nel finale, le due famiglie prese in causa dalla sceneggiatura si sovrappongono: Stranger Eyes non è la narrazione di un rapimento finito per il meglio, ma una storia di separazione e ricongiungimento familiare. Lo stalker e il padre si scoprono lo stesso personaggio, sono uno il doppio dell’altro. Simbolicamente, la nonna paterna perde la vista quando non può più osservare la famiglia del figlio riunita e si trasforma nella vicina di casa anziana e alcolizzata. La ragazza alla pista di pattinaggio non è altro che la figlia divenuta adulta, con la quale il padre prova a ricostruire un rapporto dopo tanti anni. In maniera incredibile, ogni battuta assume un senso che prima non avevamo forse neppure intravisto.


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Classe 1998, con una laurea in DAMS. Attualmente studio Cinema, Televisione e Produzione Multimediale a Bologna e mi interesso di comunicazione e marketing. Sempre a corsa tra mille impegni, il cinema resta il vizio a cui non so rinunciare.

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