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Memoria, il cinema metafisico e sensoriale di Weerasethakul

8 minuti di lettura

Dopo una breve e contenuta parentesi nelle sale italiane, il nuovo film del cineasta thailandese Apichatpong Weerasethakul è approdato su MUBI. Presentato in concorso al 74° Festival di Cannes, il film si è aggiudicato il Premio della Giuria, quarto premio per il regista al Festival cinematografico francese. Memoria è il primo film di Weerasethakul girato fuori dalla Thailandia (per la precisione in Colombia), ma il regista non rinnega le sue origini e non rinuncia al suo stile fortemente orientale, girando un’opera che si inserisce perfettamente nel mosaico della sua filmografia.

Un autore che fonde sacro e paranormale: chi è Weerasethakul

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Apichatpong Weerasethakul, attivo dal 2000, diviene ben presto un gigante del cinema autoriale da festival: nel 2002 vince il premio Un Certain Regard con il suo secondo film Sud sanaeha, due anni dopo vince il Premio della Giuria per Tropical Malady e, nel 2010, con Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti, trionfa a Cannes aggiudicandosi la Palma d’oro, diventando il primo e unico regista thailandese a vincere il premio più ambito del Festival.

In Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti (disponibile su RaiPlay) è già possibile comprendere l’originalità artistica di Weerasethakul e il suo consistente legame con le proprie radici, in particolar modo quelle spirituali relative alla religione buddhista. Il tema della reincarnazione è quello su cui l’autore fa leva per creare un cinema completo: trasmette messaggi esistenziali, eleva la spiritualità rendendola prima percepibile (e quindi paranormale) e poi reale (trasformando l’opera in un film di genere fantastico), mentre sul piano estetico – oltre a usufruire della propria terra come natura incontaminata – si cimenta anche nell’utilizzo di effetti speciali e trucco prostetico, sfruttando a pieno il suo personalissimo cinema di genere.

Weerasethakul risulta quindi essere un autore da festival, a tratti particolarmente complesso, ma non un purista del mezzo, risultando anzi come un artista sperimentale che cura con criterio ogni elemento filmico che rende il cinema l’unione di più arti; un autore talmente fedele alla spiritualità che riesce a creare opere fortemente metafisiche, magiche e sensoriali.

Memoria, il sonoro come fulcro della narrazione

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Il cinema sensoriale di Weerasethakul esplode con Memoria, scatenando un boato in grado di perseguitare protagonista e spettatore.

Memoria inizia con un’inquadratura poco chiara: fuori fuoco, nell’ombra, una tenda e delle lenzuola, il tutto nel silenzio più totale, un silenzio che si infrange con un effetto sonoro deciso; la protagonista stava dormendo, si sveglia e scopriamo che l’effetto sonoro era diegetico. Le vicende si svolgeranno attorno a quel misterioso rumore che tormenterà Jessica Holland (la protagonista interpretata da Tilda Swinton).

È interessante che in un film composto da lunghi silenzi tutto giri intorno a un rumore, un elemento che si fionda sulla quieta routine di un film dai tempi dilatati e dai dialoghi rari in cui le pause sono parte integrante del discorso tanto quanto le parole. Anche qui il regista usa l’elemento chiave della trama come un espediente per realizzare un film di genere (in questo caso un thriller, ma non solo), coinvolgendo lo spettatore nonostante una forma stilistica definibile come l’opposto dell’intrattenimento.

Sul piano stilistico Weerasethakul decide di sperimentare con il sonoro, uno degli aspetti tecnici meno considerati e compresi della settima arte (basti pensare al caos che generavano ai premi Oscar le due categorie divise tra sound editing e sound mixage); la sensibilità artistica del regista porta ad esaltare un aspetto tecnico a volte impercettibile, portandolo al pari del montaggio, della fotografia e della sceneggiatura, facendolo diventare il fulcro della narrazione sia sul piano della tecnica che del contenuto, trasformandosi a tutti gli effetti nel protagonista spirituale del film, un’entità ultraterrena senza volto né corpo, percepibile solo attraverso l’udito.

Tilda Swinton, il volto del cinema internazionale

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Se il sonoro è il protagonista spirituale dell’opera, il ruolo da protagonista convenzionale è quello interpretato magnificamente da Tilda Swinton, senza dubbio tra le più grandi interpreti del cinema contemporaneo.

Un’attrice che dimostra costantemente una bravura recitativa fuori dal comune e che, come pochi altri, è in grado di recitare con il proprio aspetto: un volto da caratterista, da cinema d’altri tempi e da film di genere, capace di risultare sempre esteticamente perfetta per film dal grande impatto visivo o dallo spirito soprannaturale.

La vera particolarità della sua carriera è quella di partecipare frequentemente a film di autori di tutto il mondo, come se per i registi intercontinentali fosse la prima scelta tra gli interpreti in lingua inglese. Tra i più noti – escluso Weerasethakul – troviamo: Luca Guadagnino, Bong Joon-ho, Pedro Almodóvar, Béla Tarr e Guillermo del Toro.

Nel caso di Memoria va sottolineato il suo duplice ruolo poiché figura anche come produttrice esecutiva del film, confermando il suo interesse verso un certo tipo di cinema e la dedizione verso il suo mestiere che va oltre il consueto recitare.

La complessità della ricerca nella memoria

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Memoria è un film complesso ed enigmatico, un’opera in cui si consuma una ricerca condotta dalla memoria sensoriale, dove i personaggi – entrando nella cornice filmica costruita da lunghi piani sequenza statici – rappresentano battiti di vita.

La ricerca diventa persecuzione e il mistero diventa tormento, provocando una reazione empatica dello spettatore che si sentirà alienato come quando ci si intestardisce su qualcosa che è solo nella propria mente, trasmettendo la sensazione di chi ha una parola sulla punta della lingua ma non riesce a pronunciarla.

Nessuno riesce a comprendere il rumore misterioso, nessuno riesce a replicarlo; questo resta esclusivamente nella memoria di chi ci è entrato in contatto, un evento esistente ma reale solo tramite l’esperienza (nel senso più filosofico del termine), ovvero nel contatto diretto tra soggetto e avvenimento, due elementi collegati unicamente dalla percezione sensoriale.


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Classe 1997, appassionato di cinema di ogni genere e provenienza, autoriale, popolare e di ogni periodo storico. Sono del parere che nel cinema esista l'oggettività così come la soggettività, per cui scelgo sempre un approccio pacifico verso chi ha pareri diversi dai miei, e anzi, sono più interessato ad ascoltare un parere differente che uno affine al mio.

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