Non serve a niente girarci intorno: dal sequel di Joker, Joker: Folie à deux, ci si aspettava tutt’altro. Il successo del primo capitolo nel 2019 aveva fatto da apripista a una concezione del cinecomic autoriale, più dark ma soprattutto più profonda, e aveva alzato l’asticella, complice l’ottima performance di Joaquin Phoenix nel ruolo del Joker e una colonna sonora da Oscar.
L’impatto del film sul pubblico aveva condotto il regista Todd Phillips a cavalcare l’onda del successo con una nuova produzione, mantenendo Phoenix come attore principale. A fomentare i fan è arrivata la notizia che Lady Gaga si era aggiunta al cast nel ruolo dell’iconica Harley Quinn, fidanzata/amante del Joker. L’hype era alle stelle: ecco un musical con Lady Gaga e Joaquin Phoenix che mettono a ferro e fuoco Gotham.
Orde di fan si sono accampate al lido di Venezia per assistere al red carpet del cast (fan di Lady Gaga in primis) e altrettanti spettatori si sono riversati in sala per la prima proiezione di Joker: Folie à deux. Eppure dopo la visione si respira un malcontento abbastanza condiviso.
Che cosa non funziona in Joker: Folie à deux?
Ritroviamo Arthur Fletch/Joker rinchiuso per i crimini commessi nel precedente film, in attesa di essere processato. Joker: Folie à deux si apre con un cortometraggio animato che fa l’occhiolino al Joker fumettistico e dà la chiave di lettura dell’intero film: Arthur e Joker sono due personalità distinte, una pacifica, remissiva e l’altra folle, assassina; quando la seconda prende il controllo, la prima subisce le conseguenze. Bene, il bipolarismo psicologico e la frammentazione interiore sono fondamenta semplici, solide da cui partire. La stessa avvocata di Fletch costruisce il caso del suo assistito su queste premesse.
Non passa neanche mezz’ora, però, che Joker: Folie à deux si è già perso. L’esplorazione della dualità è blanda, superficiale. Il film continua a ripetersi nelle solite scene del Joker che si accende una sigaretta (Joker: Folie à deux fa concorrenza ai noir di altri tempi, sconsigliato a chi cerca di smettere di fumare), scrolla le spalle, butta la testa all’indietro, esplode nella sua risata. Il Joker di Phoenix diventa l’imitazione, la caricatura di sé stesso, senza un arco evolutivo.
Poi si inizia a cantare, a ballare, a inserire le sequenze musical che ci fanno percepire il mondo come lo vede il Joker. Peccato che la litania sia sempre la stessa, e le luci colorate, gli outfit, qualche set che si allontana dall’alternarsi tribunale/prigione, non sono sufficienti a sopprimere la noia. Nessuna canzone è tanto memorabile da restare in mente fino alla fine del film.
Annoiato non è solo il pubblico (sequestrato per la bellezza di 138 minuti!) ma proprio il film stesso. Lo sperimentalismo muore in favore della rincorsa alle scene iconiche del precedente capitolo (la sequenza del Joker che balla sulla scalinata), riproposte qui e lì fino alla fine. Phillips non osa né coi costumi né con le coreografie (si salvano un paio di tentativi). Joker: Folie à deux non fa altro che ricordarci quell’estetica decadente, grunge che ha contribuito a fare amare il primo Joker.
Phillips non sfrutta fino in fondo neppure la bravura attoriale di Joaquin Phoenix, che ben avrebbe potuto calarsi in performance più complesse. Cosa ancora peggiore: il film non parte mai davvero e trascorriamo minuti e minuti in un limbo preparatorio destinato a crollare nel baratro.
Lady Gaga e Joaquin Phoenix, la scintilla non scatta
La follia a due promessa dal titolo fa capolino tra le mura del penitenziario di Arkham dal primo incontro tra Joker/Arthur e Harley Quinn, che riflette a sufficienza la natura del personaggio fumettista ma resta molto piatta a livello di caratterizzazione e dimenticabile sul piano dell’estetica (un confronto con la Harley Quinn di Margot Robbie, al netto di tutti i difetti, sarebbe impietoso). Lady Gaga porta a casa una performance dignitosa, ma non dona quel guizzo di follia che servirebbe al personaggio.
Harley Quinn è innamorata della maschera, del Joker, e farebbe di tutto per farsi notare da lui: spinge sulla condizione di solitudine e la vulnerabilità di Joker/Arthur per conquistarlo. Nonostante le tante sequenze (musicali e non) che coinvolgono i due protagonisti di Joker: Folie à duex, la scintilla non scatta mai e la coppia non trasmette quel senso di attaccamento morboso e follia condivisa promessi.
La pazzia, insomma, si eclissa sotto il peso di un numero interminabile di duetti tutti uguali e qualche momento d’intimità che si spinge pericolosamente verso il cringe. La tiritera va avanti fino all’epilogo di Joker: Folie à deux, che si digerirebbe anche male se non fosse che a quel punto si è già rassegnati.
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