E se la venuta del Messia fosse ai giorni nostri? Il quesito, sicuramente intrigante, ce lo propone una delle nuove produzioni Netflix del 2020 con una serie thriller a sfondo politico-religioso. Cerchiamo, quindi, in questo articolo di vedere quali sono i punti di forza, i momenti salienti e le riflessioni che ci porta a compiere Messiah al suo debutto con la prima stagione di dieci episodi.
Una storia dal retrogusto familiare
È nella Damasco odierna che iniziano le vicende di un misterioso personaggio con lunghi capelli scuri e una tunica gialla. Veniamo subito introdotti in quei luoghi così pregni di mistero e spiritualità, quanto di disperazione e conflitti. Dove se non nello sventurato Medio Oriente poteva avere luogo il ritorno del Messia sulla Terra?
Ed è proprio durante un attacco dell’Isis alla capitale siriana che appare colui che verrà denominato Al-Masih (Mehdi Dehbi). Il predicatore, che subito viene additato come un pazzo, riesce in seguito a formare una prima piccola comunità di individui che lo riconosce come figlio di Dio. Ben presto però, grazie alle sue opere e al mistero che avvolge la sua figura, riesce a coinvolgere il mondo intero.
Se un avvenimento del genere poteva passare inosservato duemila anni fa, non è possibile ai giorni nostri. L’evento infatti desta subito l’attenzione dell’agente della CIA Eva Geller (Michelle Monaghan) che avvia un’indagine su questo misterioso personaggio, ritenendolo un impostore con possibili legami a gruppi terroristici. Prenderanno parte alla vicenda, anche se in maniere e luoghi differenti anche un agente israeliano di nome Aviram (Tomer Sisley), un giovane ragazzo di fede, Jabril (Sayyid El Alami) e una famiglia americana composta dal pastore Felix Iguero (John Ortiz), sua moglie Anna (Melinda Page Hamilton) e la loro ribelle figlia adolescente Rebecca (Stefania LaVie Owen). Da come vengono strutturati questi primi dieci episodi la trama della serie sembra svolgersi su due piani che corrono paralleli. Abbiamo da un lato l’indagine dell’agente Geller e dall’altro le vicende messianiche. Questo dualismo si interseca molto spesso con le storie dei vari personaggi secondari (un po’ troppi forse) che danno vita a tutta una serie di storie, anch’esse parallele alle due linee narrative principali. Per il momento, purtroppo la vastità dei protagonisti e i repentini cambi di location risultano essere dispersivi e fanno più volte perdere il filo della narrazione. I personaggi e il loro passato rimangono solamente accennati, lasciando in sospeso più di una questione, ma si spera che questo piccolo difetto venga corretto in una eventuale seconda stagione.
La trama di questa serie riesce insieme a stupirci e a ricordarci qualcosa che già conosciamo, infatti ci porta a riscoprire i passi che hanno segnato la formazione delle varie confessioni religiose di origine profetica, mostrando come un fenomeno circoscritto possa diventare di importanza globale grazie alla fede. La rilettura di questo fenomeno in chiave contemporanea non può dunque che incuriosirci; ciò che resta da fare è lasciarsi trasportare dalla narrazione e farsi coinvolgere.
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Contemporaneità e spiritualità: un insieme vincente
Questa serie sembra possedere tutte le carte in regola per essere un successo: l’idea innovativa del creatore Michael Petroni, il tema religioso che desta sempre una certa curiosità e i colpi di scena tipici del genere poliziesco e investigativo.
Sicuramente uno dei punti di forza di questa produzione è data dall’intuizione dell’ideatore che, fin dal trailer, riesce ad intrigare ed invogliare lo spettatore a proseguire la visione. La possibilità del ritorno del Messia viene studiata accuratamente sotto molteplici punti di vista, senza lasciare nulla al caso. A partire dall’aspetto sociale, passando per quello politico, senza sottovalutare quello religioso: i fatti risultano verosimili e totalmente compatibili con la mentalità della nostra epoca.
Apprezzabile, inoltre, la scelta di non far cadere il personaggio di Al-Masih nella banalità cinematografica, riducendolo ad un supereroe che elargisce miracoli e si serve di capacità divine per raggiungere i suoi scopi. Il risultato è una serie non troppo movimentata, che segue quello che presumibilmente sarebbe il corso naturale delle cose, priva di frivolezze e forzature che hanno il solo scopo di impattare lo spettatore. Ne risulta un esperimento ben riuscito che unisce la tradizione thriller a tematiche di tipo etico, tirando in ballo anche argomenti delicati come la fede e la situazione mediorientale. Aiuta ad implementare il realismo della serie anche la scelta di mantenere i dialoghi in arabo e in ebraico in lingua originale, creando però, in alcuni momenti, un po’ di confusione, mescolandoli con pezzi di dialogo tradotti.
Colpisce in maniera positiva la regia di James McTeigue e Kate Woods, che riesce a regalarci immagini cariche di significato e che dona la giusta enfasi ai momenti salienti. Ottima anche la fotografia di Danny Ruhlmann, ben curata e attenta ai particolari, aiutata dalla scelta delle location azzeccate e realistiche, che si dividono tra il Medio Oriente e l’America.
Nuovo Messia o falso Dio?
«Qual è il miglior modo per creare caos, se non un nuovo Messia?». Queste le parole dell’agente Geller che vogliono farci riflettere.
Il ritorno del Messia cambia le carte in tavola, scombina i piani, rende ogni verità relativa e vacillante, cadono le convinzioni e anche le persone più materialiste non possono rimanerne indifferenti. Ciò che avviene è un completo stravolgimento della realtà a cui siamo abituati e si viene gettati in un caos senza precedenti che produce effetti al tempo stesso grandiosi e disastrosi.
Anche il telespettatore, partecipe degli avvenimenti dall’altra parte dello schermo, rimane coinvolto nel dubbio. Un atto di fede accompagna l’intera narrazione: il susseguirsi degli avvenimenti porta chi osserva a chiedersi costantemente se il protagonista sia davvero il Messia oppure no, soprattutto perché in un’epoca in cui è il sapere scientifico a farla da padrone e si è costantemente circondati da fake news diventa sempre più difficile credere. Sta al fruitore la scelta di schierarsi dalla parte della ragione, quella composta da agenti, investigatori e politici, oppure da quella dei credenti, formati dai seguaci di Al-Masih.
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