Per chi è cresciuto negli anni ’80 e ’90, Mike Tyson è stato un’icona di grandezza nello sport al pari di altre leggende quali Maradona o Michael Jordan: un esempio di forza capace di dare un’impressione di invincibilità e supremazia sul ring.
Un atleta la cui grandezza rimarrà indimenticata e un simbolo della sua era tanto in positivo quanto in negativo. Perché Mike Tyson, suo malgrado, si è buttato giù dal trono da solo, con i suoi comportamenti, il suo stile di vita, il suo oltrepassare limiti che non andrebbero valicati.
Mike: dal carcere al trono e ritorno
Mike, la nuova serie biografica di Disney+, ideata da Steven Rogers, rende omaggio a un campione devastante e maledetto in 8 episodi che tentano di raccontare a 360 gradi un personaggio dalle mille sfaccettature.
La serie Mike sfrutta l’espediente di un mock stand-up dello stesso Mike Tyson che tra ironia e amarezza ripercorre la sua intera vita attraverso il suo personale punto di vista, consapevole dei suoi errori e allo stesso tempo di come il sistema mediatico e le persone di cui si è circondato lo abbiano plasmato nel bene e nel male, sfruttandolo e idolatrandolo allo stesso tempo.
In un viaggio che ripercorre la vita di uno dei pesi massimi più famosi della storia, diventato un mito moderno degli Stati Uniti, l’opera distribuita su Disney+ cerca di essere il più oggettiva possibile nel racconto delle tante controversie che hanno segnato il destino sportivo e mediatico di Tyson, delle sue innumerevoli cadute e dei pugni con cui ha saputo stupire il pubblico abbattendo allo stesso tempo ogni ostacolo gli si ponesse davanti.
Un racconto che è quasi autobiografia
La struttura narrativa è semplice ed efficace e permette allo spettatore di capire i comportamenti di Mike Tyson uomo, probabilmente non sempre all’altezza dell’atleta che fu, lasciando che sia lui stesso a spiegare le sue motivazioni e i retroscena dietro i momenti più difficili e criticati della sua vita: l’esplorazione del suo background culturale e delle difficoltà per un giovane nero del ghetto, in quegli anni, di poter vivere una vita lontano da guai con la legge e pregiudizi difficili da sconfiggere, i problemi di dipendenza e l’incapacità di Mike di sapersi relazionare, in particolare con le donne, vengono esplicitati senza pudore, lasciando l’immagine di un campione fragile e in perenne lotta contro se stesso e contro i suoi demoni.
Interessante l’idea di usare due grane differenti nella fotografia per raccontare il giovane ragazzo di strada e il campione patinato capace di salire sul tetto del mondo.
Allo stesso tempo molto azzeccata la scelta di lasciare che il capitolo più controverso e difficile dell’intera vicenda, l’accusa di stupro, sia raccontato dall’altra protagonista del misfatto, fugando ogni dubbio sulla posizione presa dagli autori anche su quest’altra problematica sociale.
La colonna sonora aiuta a esaltare il continuo saliscendi di un’esistenza sempre in bilico e di difficile analisi, tra fomento, rabbia e disperazione.
Buona anche l’interpretazione del cast, capace di mettere in scena un’ironia che sa stemperare ogni momento di tensione, ricordandoci che non esistono mostri o idoli, ma soltanto uomini e donne alle prese con la gestione delle proprie vite, dei propri interessi e dei propri ideali.
Mike conquista grazie alla sua trasparenza e onestà
In sostanza Mike è un prodotto ben strutturato, ideale sia per chi abbia vissuto gli anni d’oro del pugile che per coloro i quali ne abbiano solo sentito parlare. Un personaggio polarizzante, costretto a reinventarsi e capace di sconfiggere ogni avversità e ogni avversario. Compreso se stesso.
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