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Una scena di Misericordia con Milena Catalano

Misericordia, il film di Emma Dante tra dolore e speranza

5 minuti di lettura

Dopo il successo de Le sorelle Macaluso, Emma Dante ritorna al cinema con Misericordia. Come il primo film, anche Misericordia nasce come spettacolo teatrale per poi approdare sul grande schermo. Tuttavia in questo passaggio non perde la sua natura originaria, ma la arricchisce in un rapporto dialettico con il cinema: l’attenzione materiale verso la corporeità tipica del teatro si unisce con naturalezza all’estetica filmica.

Ma la natura teatrale non è l’unico elemento che lega i due film: il filo conduttore rimane l’esplorazione dell’universo femminile e della sfera materna, sviscerata in tutta la sua tenerezza e crudeltà, nella sua capacità di consumare e consumarsi, ma anche di conservare e preservare.

Misericordia, un dialogo d’amore

Foto di Simona Malato, Tiziana Cuticchio e Milena Catalano che guardano in camera

La storia ruota intorno ad Arturo, un ragazzo disabile ritrovato sugli scogli da quand’era neonato da due prostitute, Betta e Nuccia. Le due donne (interpretate da Simona Malato e Tiziana Cuticchio) diventano le madri di Arturo, costruendo attorno un “dialogo d’amore”, come lo definisce la regista stessa: proprio Emma Dante, parlando di Misericordia, identifica il film come una dimostazione della complessità del concetto di famiglia.

Il film racconta questo: non bisogna essere ricchi o poveri per fare questo. Le famiglie esistono ovunque e comunque. Non hanno bisogno del legame di sangue per essere delle vere famiglie.

Emma Dante

Emma Dante ci porta all’interno di una dimensione in stato di disfacimento, dove la natura e l’umano convivono in una situazione di perenne conflitto: da un lato gli scenari magnifici e imponenti di un Etna tirannico che incombe con la sua bellezza terrificante sulle vite dei personaggi, dall’altro il microcosmo feroce delle stamberghe fatiscenti e circondati da cumuli di munnezza dove vivono Betta, Nuccia, Arturo e le altre donne.

La tenerezza e la crudeltà in Misericordia

Simone Zambetti nei panni di Arturo e una capra, nello sfondo un paesaggio montano

Attraverso il movimento di Arturo, che usando il suo corpo danzante trova un modo personale di abitare quello spazio, esploriamo la vita che si consuma all’interno di questo minuscolo villaggio in una baia incastrata tra due promontori, dove le donne sono condannate a una sofferenza perpetua. Vediamo i dettagli della loro esistenza, subordinata all’autorità tirannica del personaggio inquietante che le sfrutte e le minaccia.

La famiglia rimane il nodo critico centrale: come ne Le sorelle Macaluso, vediamo delle donne che si trovano a dover affrontare le proprie gabbie, il significato di famiglia e il desiderio di vivere i concetti di maternità e di comunità in un modo diverso, nel campo ristretto delle proprie possibilità. Betta, Nuccia e la giovane Anna si raccolgono intorno ad Arturo, che diventa un simbolo della loro capacità di prendersi cura e soprattutto di poter costruire qualcosa di nuovo e di splendido in mezzo alla desolazione e alla violenza.

Con Misericordia lo sguardo cinematografico di Emma Dante compie un ulteriore passo avanti, con un uso sapiente del montaggio che conferisce un ritmo pacato e naturale e alla storia, e lega la presenza trasognata di Arturo alle vallate e ai pendii su cui si muove danzando.

Tuttavia, in questa cura formale e la tendenza verso un racconto che procede per momenti lirici intrisi di simbolismo e di metafore, la storia corre il rischio di perdersi e di annacquarsi, perdendo in parte la sua potenza e la sua intrinseca visceralità. Di questa tendenza soffrono un po’ anche i personaggi, che rispetto alle presenze dirompenti de Le sorelle Macaluso tendono ad appiattirsi nel proprio ruolo di simboli e di istanze poetiche.

Rimane comunque la potenza dei corpi, il loro esprimersi attraverso un linguaggio intimo veicolato dalla danza, il loro ribellarsi rumoroso e straripante contro ogni cosa, anche contro la natura stessa. E soprattutto rimane uno sguardo poetico che cerca di esplorare le pieghe del reale.


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Classe 1999, una delle tante fuorisede in terra sabauda. Riguardo periodicamente "Matrimonio all'italiana" e il mio cuore è diviso tra Godard e Varda. Studio al CAM e scrivo frammenti sparsi in giro per il mondo.

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