Quant’è importante conservare la memoria? Come ci si può confrontare con il passato? A cosa si può spingere un uomo per ottenere la libertà? Gunnar Sønsteby, un ex partigiano della Resistenza Norvegese, può farsi queste domande. Numero 24, partigiano ed esperto sabotatore, durante l’occupazione della Norvegia da parte dell’esercito nazista, non può farsi queste domande.
Un giovane Gunnar corre e scia tra le montagne della sua patria e gradualmente assiste all’arrivo di un esercito straniero che invade la sua terra e spreme la popolazione per ottenere braccia e risorse economiche per contrastare le forze degli Alleati. Lui corre a perdifiato tra le nevi e i boschi del Nord, il suo respiro invade lo schermo e non ha tempo per farsi domande: chi esegue ordini e lotta per degli ideali non si fa domande, agisce per raggiungere uno scopo più grande di lui e per una causa comune, qui la libertà dei popoli dai tiranni.
Numero 24, uscito a gennaio su Netflix e distribuito internazionalmente dagli SF Studios, racconta la storia di Gunnar Sønsteby, guerrigliero dal sangue freddo e calcolatore che partecipò a operazioni di sabotaggio, spionaggio e di eliminazione di militari dell’esercito tedesco e dei loro affiliati. John Andreas Andersen dirige un cast di giovani attori calandoli in una storia difficile e spinosa da raccontare: in questo biopic di guerra, il regista mette in discussione un eroe pluridecorato, mostrandolo in due fasi diverse della vita.
Numero 24, un eroe di guerra e le sue ombre
In Numero 24 non ci sono vinti e vincitori. La Storia la scrivono i sopravvissuti: facciamo la conoscenza di Gunnar come un reduce di guerra ormai anziano che va nelle scuole a discutere con i giovani riguardo i valori della libertà e della democrazia, riportando la sua esperienza. Poi lo vediamo nel 1940, più giovane, con la stessa età del pubblico della scuola di Rjukan, mentre combatte i nazisti con i suoi compagni: non ha molte frequentazioni al di fuori dell’Oslogjengen, il nucleo segreto di resistenza a Oslo, cambia spesso abitazione a causa della taglia che pende sulla sua testa, ha più di un passaporto e non smette mai di pensare alla mossa successiva per ostacolare le attività del nemico.
Numero 24 è mozzafiato nella sua messa in scena, sempre tesa e cupa, e non risparmia lo spettatore nella lenta e precisa ricostruzione di un periodo storico in cui i confini morali ed etici sono molto sottili: la recitazione di Sjur Vatne Brean, nei panni del protagonista, restituisce sia il lato umano di un ragazzo a cui viene tolta la giovinezza, sia il lato glaciale del genio militare che ha fatto saltare fabbriche e ucciso molti nazisti e presunti traditori della patria.
Il materiale di repertorio e la storia di Gunnar sono trattati in modo da svelare più lati, andando oltre la figura dell’eroe di guerra: la scelta di una fotografia dai toni opachi è quasi a simulare un periodo in cui i colori, sebbene definiti per le divise degli schieramenti, spesso non definiscono gli uomini. La macchina da presa assorbe la tensione dei personaggi, seguendo il movimento, gli sguardi e il respiro degli stessi, e in qualche modo tenta di far calare il pubblico come quarto punto di vista, complice, spesso, il formato dell’immagine.
Numero 24, ai posteri l’ardua discussione
Con due tipi di linguaggio, simil televisivo con il Gunnar anziano e più cinematografico con il Gunnar giovane, il regista vuole delineare un ritratto completo di Numero 24 in modo tale da restituire la complessità del personaggio. Tuttavia, si nota la difficoltà nel trasmettere l’ambiguità di un uomo che davanti alle risposte degli studenti manifesta un solido punto di vista ma poi si scioglie in un pianto liberatorio davanti a una studentessa imparentata con una probabile vittima di guerra. Il regista sembra non riuscire a sospendere il giudizio fino in fondo, si limita a dipingere dei quadri emozionali e morali fini a sé stessi.
Numero 24 è un ritratto a tout court di una figura storica della Resistenza Norvegese, vuole raccontare le sfumature e le “zone grigie” di un periodo storico in cui spesso l’errore non è considerato accettabile e gli ideali possono portare a grandi azioni ma anche a tragedie, che si trascinano nel tempo fino a logorare l’animo. È giusto un contenuto simile conduca a porsi una serie di domande, che non si fermi a un ritratto piatto o stereotipato di un testimone diretto degli eventi. Numero 24 si aggiunge a un filone di genere storico del cinema norvegese focalizzato sul periodo (i predecessori più illustri sono Narvik e il biopic sul capo della cellula partigiana di Oslo e compagno di Gunnar, Max Manus: Man of War).
Nella mia mente ci sono cinque cassetti. I tre più in alto li apro tutti i giorni. Il quarto lo apro ogni tanto. Il quinto l’ho chiuso l’8 maggio 1945 e non l’ho più riaperto.
Gunnar Sønsteby
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