Pari è il primo lungometraggio del regista Siamak Etemadi, iraniano di nascita, ateniese di adozione, ha chiarito come la storia sia vagamente ispirata a fantasie autobiografiche, in relazione alla madre che spesse volte è andata a trovarlo in terra greca, non conoscendo la lingua. La trama del film, tuttavia, subisce evoluzioni impreviste e curiose. Presentato in anteprima italiana al Trieste Film Festival, vale la pena seguire gli spunti di Pari.
«Pari», La trama
Babak, uno studente iraniano ad Atene, non si presenta in aeroporto per accogliere i genitori Pari (Melika Foroutan) e Farrokh (Shahbaz Noshir), desiderosi di incontrare il figlio dopo diverso tempo. La coppia di devoti musulmani, trovatasi all’estero per la prima volta, senza conoscenze di lingua e cultura greca, è poco preparata a cercare il figlio in un ambiente alieno e ostile.
Il Bildungsroman di Pari
Iniziando il film, ci si aspetta che il figlio Babak sia il protagonista della storia. Tuttavia, nel delinearsi degli eventi, sembra che diventi più un MacGuffin, un espediente narrativo che offre la spinta per vicende altre. Il focus narrativo, fin dalla prima inquadratura sull’aereo, diventa la madre, che dà titolo anche all’opera. I Pari erano esseri favolosi dell’immaginario popolare persiano, demoni ma anche spiriti gentili.
Una donna che, sebbene non esplicitato, pare non avere avuto molte possibilità esperienziali. Moglie di Ayatollah, dice di lei una prostituta, riportando le parole del figlio. Una donna sempre a testa e occhi bassi, succube delle decisioni di un marito che malvagio non è, ma non prescinde da vincoli culturali di onore di cui si sente completamente investito. I rapporti sessuali subiti, l’impossibilità di iniziativa personale.
Ma a metà film, avviene una svolta. Si ritrova in situazioni fuori dal suo ordinario, dopo aver incontrato un gruppo di anarchici di Exarchia, gruppo frequentato precedentemente anche dal figlio. Soprattutto il marito, ben più vecchio, non regge il ritmo di quelle giornate e muore. Il vuoto che lascia diventa spazio in cui inventare una nuova personalità. Non porta più il velo, capelli sciolti e avvenenti, si addentra nei luoghi più malfamati di Atene. Sempre alla ricerca del figlio perduto. Sempre alla ricerca di una giovinezza mai vissuta.
Un’importante opera prima
Il passaggio dal corto al lungometraggio è sempre più difficile dell’immaginabile. Alcuni momenti girano a vuoto, come se il regista cercasse di riempire i minuti del nuovo formato. Ciò nonostante, ne esce una storia densa di contenuti e simboli, con scelte fruttuose.
Melika Foroutan regge l’attenzione morbosa dello spettatore, facendo seguire ai mutamenti spirituali della protagonista, giusti cambiamenti d’espressione. Partendo dal suo sguardo, Siamak Etemadi tratteggia le sinuosità e le asperità che la vita di Atene può offrire. Diverse sono le scene in notturna, corrispondenza dei difficili momenti di Pari.
Allo stesso tempo, l’ambiente può diventare sfocato, indistinto, falso. Perché la ricerca di Pari è una fiamma che accende e consuma. Pari brucia, nella notte a Exarchia, e diventando fuoco si libera dalle convenzioni sociali precedenti. Un simbolismo che il regista rende immagine e silenzio, e da solo vale la visione.
Il percorso di questo regista andrà seguito anche nella declinazione del proprio cinema. Nel film si trova una miscellanea di generi, difficile da catalogare. Oltretutto, l’estetica oscilla tra l’essenzialismo tipicamente iraniano e momenti di catarsi dal sapore europeo. Ma le premesse per una evoluzione continua e positiva ci sono tutte.
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