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Gianfranco Rosi, una vita in trincea

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La vita di Gianfranco Rosi ha un inizio tutt’altro che lineare. Nasce ad Asmara, capitale dell’Eritrea. Il padre lavora per la sezione esteri di una banca, ma ben presto la sua infanzia prende la prima svolta: la guerra nazionale d’indipendenza costringe la famiglia a dividersi e fuggire, chi a Roma e chi a Istanbul.

L’Italia diventa da questo momento sua fissa dimora, anche grazie all’inizio dell’avventura presso l’Università di Pisa per studiare medicina. La sua anima è però irrequieta. Avviene così l’ennesimo trasferimento, questa volta con una direzione precisa: studiare cinema presso la Tisch School of the Arts dell’Università di New York.

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Gli inizi di Gianfranco Rosi dalle pubblicità al lungometraggio

Gianfranco Rosi

Il suo primo mediometraggio, Boatman (1993) racconta di un viaggio lungo il Gange, alla scoperta della variopinta civiltà indiana. Girato in bianco e nero, conduce lo spettatore nei riti e nelle credenze religiose del popolo indiano.

Dopo aver diretto diverse pubblicità-progresso, nel 2008 si presenta a Venezia con il suo primo lungometraggio, Below Sea Level. Il racconto, in forma documentaristica, tratta di una piccola comunità di emarginati sociali che vive nel deserto, a 40 metri sotto il livello del mare, nei pressi di Los Angeles. Una continua sfida tra uomo e natura, ai limiti della civiltà. Vince il premio come miglior documentario nella sezione Orizzonti.

Rosi ha riportato il documentario al centro del dibattito pubblico

Ma è nel 2010 che l’attenzione della critica lo pone sotto i riflettori con il documentario El sicario – Room 164. Presentato anch’esso a Venezia, è un’intervista di 80 minuti ad un ex sicario di un cartello messicano. Emergono così i ricordi di truci uccisioni e torture commissariate. Un documentario unico, oggetto anche di recensioni negative, ma che si aggiudica il Premio FIPRESCI alla Mostra del Cinema di Venezia.

Proseguendo sulla scia dell’esperienza cinematografica declinata nella forma documentaristica, Gianfranco Rosi nel 2013 arriva la consacrazione con Sacro GRA. Il regista pone la sua macchina da presa verso la multiforme umanità che vive nelle vicinanze del Grande Raccordo Anulare di Roma. Emerge la liricità delle esistenze così immerse in un paesaggio spesso lunare e spesso lontano anni luce dalla luccicanza di potere del centro città. Prima volta nella storia del Festival di Venezia, un documentario vince il Leone d’oro.

Rosi, direzione Oscar

Gianfranco Rosi

La consacrazione però non ferma il suo lavoro di documentazione di realtà al limite. Nel 2016 diventa un caso nazionale e internazionale il suo documentario Fuocoammare. Girato a Lampedusa, affronta il tema scottante dell’immigrazione. La camera è puntata non solo sull’arrivo allo stremo degli immigrati, ma segue e sviscera la vita quotidiana degli abitanti dell’isola. Una regia senza retorica o sentimentalismi, secca e cruda nel dipanare le alterne vicende. Vince l’Orso d’oro al Festival di Berlino, primo documentario a vincere il premio come miglior film. Candidato anche all’Oscar come miglior documentario.

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In concorso per il Leone d’Oro alla 77° Mostra del cinema di Venezia, ha presentato Notturno, un documentario girato tra Iraq, Kurdistan, Siria e Libano, un racconto di luoghi massacrati da guerre civili e instabilità politica.

Ora però Gianfranco Rosi guarda oltre oceano, in direzione Oscar. Nell’anno della pandemia, il documentarista è stato preso in considerazione per la nomination della sezione Miglior Documentario. La conferma dovrebbe arrivare a breve, e potrebbe portare la carriera di Rosi a un nuovo stadio.


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Amo le storie. Che siano una partita di calcio, un romanzo, un film o la biografia di qualcuno. Mi piace seguire il lento dispiegarsi di una trama, che sia imprevedibile; le memorie di una vita, o di un giorno. Preferisco il passato al presente, il bianco e nero al colore, ma non disdegno il Technicolor. Bulimico di generi cinematografici, purché pongano domande e dubbi nello spettatore.