Tra i titoli di coda della stagione estiva sbuca in sordina Patagonia, l’opera prima del giovanissimo Simone Bozzelli. Presentato al Festival del Cinema di Locarno e prodotto da Wildside, Vision Distribution e Rai Cinema (in collaborazione con Sky), Patagonia debutterà nelle sale italiane a partire dal 14 settembre. Protagonisti assoluti Andrea Fuorto e Augusto Mario Russi.
La trama
In uno dei tanti paesini dell’Abruzzo rurale vive Yuri (Andrea Fuorto), un ventenne disadattato cresciuto da un’anziana zia. Durante una festa per bambini, Yuri conosce Agostino (Augusto Mario Russi), un animatore girovago che vive alla giornata in un camper. Attratto dal carisma di quest’ultimo, nonché desideroso di vivere una vita meno noiosa, Yuri scappa di casa e comincia con Agostino una vita raminga tra lavori improvvisati e ipnotici rave techno. Ma non è tutto oro ciò che luccica: dietro questo sogno di libertà, permeato dalla promessa di Agostino di accompagnare “il suo braccio destro” in un meraviglioso viaggio in Patagonia, si nasconde un rapporto che, non privo di contraddizioni, porterà a un’escalation di ambiguità stranianti e sensibili soprusi.
Patagonia, quando la libertà è una trappola
Anche se molto giovane – parliamo di un classe ’94 – Simone Bozzelli sembra già un regista dalle idee chiare. Ex allievo del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, e con all’attivo la direzione del videoclip “I Wanna Be Your Slave” dei Maneskin, Bozzelli realizza con Patagonia un esordio che ha di sicuro del sorprendente. Riprendendo tra l’altro alcuni temi espliciti della canzone dell’ormai famosissima band romana, come il desiderio più o meno colpevole di comandare e di essere comandati, il giovane regista struttura visivamente un viaggio soprattutto mentale; un’odissea intensa e non poche volte scioccante tra le campagne abruzzesi, dove ogni cosa sembra risucchiata dalla polvere e cannibalizzata dallo stridente richiamo della dimenticanza.
In questo scenario cupo ma nondimeno intrigante, Bozzelli dirige con cura il rapporto sempre più profondo e ambiguo di Yuri e Agostino, interpretati in modo praticamente perfetto da Andrea Fuorto e Augusto Mario Russi. La chimica tra i due è sin da subito evidente. Le loro personalità completano e contrastano allo stesso tempo i logori paesaggi abruzzesi. Perché, e su questo la sceneggiatura dello stesso Bozzelli e di Tommaso Favagrossa si rivela impeccabile, Yuri e Agostino sono sia figli della loro terra sporca sia loro stessi traditori. In tal senso la Patagonia, più che vero e proprio luogo fisico, è meta ideale e idealizzata dove diventa quasi automatico evadere la propria identità, alla ricerca di un sogno costantemente irraggiungibile.
Un nuovo sguardo sull’Italia degli ultimi
Pur trattandosi di un film sostanzialmente originale, con un’evoluzione del racconto di certo non banale, si possono tracciare nel lavoro di Bozzelli alcuni precisi modelli, quasi dei totem invisibili che marcano soprattutto gli aspetti più squisitamente narrativi e stilistici. La prima parte sembrare sporcare e arrugginire certi richiami felliniani – derivanti soprattutto da Il circo, con Fuorti e Russi che riprendono il rapporto comandante/comandato di Antony Quinn e Giulietta Masina; la seconda parte invece mescola l’esplosivo cinema di borgata di Pier Paolo Pasolini e quello queer e super emozionale dell’ex enfant prodige Xavier Dolan. Una miscela particolare e abbastanza audace che non riduce però uno sguardo inedito sul mondo, che sa ammiccare alle tendenze contemporanee.
Essendo un esordio, sono quasi inevitabili dei difetti: la scelta dei tempi narrativi e l’efficacia di alcuni dialoghi lasciano qualche volta un po’ a desiderare, soprattutto nei primi venti minuti, come se Patagonia avesse bisogno di qualche scena in più del previsto per cominciare a carburare. Ma niente di così rilevante; il ritmo gradualmente incalzante e le interpretazioni sempre più intense della coppia protagonista riescono in più di un’occasione a metterci una pezza, rendendo il prodotto godibilissimo per tutta la sua durata. Infine, una piccola menzione al montaggio di Christian Marsiglia: evasivo e sporco come i suoi protagonisti, sequenzia perfettamente un racconto di formazione puro e sprezzante, che tanto serve alle prospettive di un nuovo coraggioso cinema italiano.
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