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La bella estate, un fragile e riuscito racconto di formazione

6 minuti di lettura

Ispirato all’omonimo romanzo di Cesare Pavese, La bella estate è il nuovo film di Laura Luchetti, in uscita nelle sale italiane dal 24 agosto. Prodotto da Kino Produzioni, 9.99 Films e Rai Cinema, La bella estate conta un cast molto giovane e promettente, composto da Yile Yara VianelloDeva CasselNicolas Maupas, Alessandro Piavani, Adrien Dewitte, Cosima Centurioni, Anna Bellato e Andrea Bosca.

La bella estate, trama

Torino, 1938. Durante gli anni del fascismo, Ginia (Yile Yara Vianello) decide di trasferirsi con suo fratello Severino (Nicolas Maupas) nella città piemontese. Timida e gran lavoratrice, Ginia conosce durante un picnic l’affascinante Amelia (Deva Cassel), una delle muse più richieste dagli artisti torinesi. È proprio Amelia, diversissima da Ginia per educazione e temperamento, a introdurre la protagonista negli ambienti più bohémien della città, permettendole, tra l’altro, la conoscenza di Guido (Alessandro Piavani), un giovane pittore squattrinato. Combattuta tra senso del dovere e desiderio di lasciarsi andare ai piaceri più frizzanti e giovanili, Ginia trascorrerà un periodo fondamentale per la sua formazione: una “bella estate”, appunto, che le permetterà di conoscere molto più a fondo se stessa.

Una piacevole sorpresa estiva

la bella estate

Seppur nell’occhio del ciclone Barbienheimer, evento che fortunatamente sta ancora sconquassando i botteghini di tutto il mondo, La bella estate di Laura Luchetti cercherà di ritagliarsi a partire dal 24 agosto dei piccoli spazi – si presume purtroppo minuscoli dato l’andamento dei film di Gerwig e Nolan – nei meandri del complesso boxoffice italiano. E forse un po’ da disperare c’è: il film della regista romana è innanzitutto un buon prodotto, un mix equilibrato di dramma e idillio che rispetta senza alcun fronzolo l’opera pavesiana. Inoltre, l’intento di fornire al racconto una lettura più squisitamente contemporanea, scelta decisamente opportuna e calzante, rende il film uno degli adattamenti italiani più interessanti – e soprattutto sensati – degli ultimi anni.

Non sono affatto pochi i punti di forza de La bella estate. Partendo dal lato tecnico, forse quello più sorprendente per competenza e perizia, non si può non apprezzare lo sforzo di tutta la troupe di restituire la calorosa sobrietà della Torino degli anni ’30. Un eccellente lavoro di squadra che coinvolge soprattutto Giancarlo Muselli, responsabile delle affascinanti scenografie, Maria Cristina La Parola, ideatrice dei costumi, e Diego Romero Suarez Lllanos, che con una fotografia in grado di catturare la luce naturale del capoluogo piemontese potenzia le sensazioni abbacinanti catturate dalla garbata sensualità di Ginia. Emerge, pertanto, una riflessione approfondita sul rapporto che la protagonista intrattiene con l’ambiente che la circonda: un locus amoenus non più della sua anima, ma del suo corpo.

La bella estate, una spirale di nostalgie e desideri

la bella estate

Gran parte della produzione pavesiana si concentra sul senso di smarrimento che un personaggio prova trasferendosi dalla campagna alla città. Oltre allo smarrimento, però, subentra ad un certo punto anche una forte curiosità per un ambiente più dinamico: un coinvolgimento di tutti i sensi che mette in discussione molto di quei valori faticosamente acquisiti lavorando sulla e per la “dura terra”. Anche La bella estate, naturalmente, riprende questo tema tanto caro allo scrittore originario delle Langhe; anzi, parte proprio da esso, per poi focalizzarsi maggiormente sui desideri, il più delle volte inespressi, della giovane protagonista, interpretata in modo davvero convincente da Yile Yara Vianello.

Dunque, la sceneggiatura curata dalla stessa Luchetti intende smarcarsi dall’opera originaria, e si può dire che l’operazione riesca complessivamente bene, in quanto dona al film una sua indipendenza narrativa, potenziata dal contributo visivo di una Torino inedita e lucente. Certo, alcune sezioni del film risultano un po’ troppo descrittive, come se Luchetti volesse ripetutamente puntualizzare l’impatto quantomeno decisivo che la città riserva a Ginia e a Severino. Ma queste sono ripetizioni che, tutto sommato, non appesantiscono sempre in modo negativo la trama. La scelta della regista romana, infatti, è avvolgere allo stesso modo, narrativamente e stilisticamente, personaggi e spettatori. Creare una spirale che pian piano leghi con una certa autenticità ardenti desideri e dolci nostalgie.

la bella estate

Se Pavese resta l’inevitabile stella polare dell’intera trama – e in minima parte anche dello stile di regia -, la lettura contemporanea ideata dalla regista romana sorprende per intensità e compostezza. La scoperta del desiderio sessuale, che quasi accompagna la scoperta di un desiderio più marcatamente culturale, con la graduale uscita da un ipotetico stato di minorità intellettuale, conduce Ginia a vedere se stessa sotto una particolare lente d’ingrandimento. Nemmeno gli oscuri anni del Fascismo, qui ripreso in appena un paio di scene di relativa importanza, può limitare la forza interiore di una persona tanto ordinaria quanto straordinaria. Una giovane donna che, con la più genuina delle inconsapevolezze, rende una semplice estate torinese la splendida stagione di un’intera vita.


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Napoletano, classe 1996, laureato in Filologia moderna e con un master in Drammaturgia e Cinematografia. Perennemente alla ricerca di sonno, cibo e stabilità psicofisica, vivrebbe felice anche nel più scoraggiante dei film di Von Trier, ma si accontenta della vita reale insegnando nelle scuole ad amare le belle storie. Nulla gli illumina gli occhi più del buio di una sala.

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