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Perfetta Illusione NPC Magazine

La Perfetta illusione di Pappi Corsicato è una storia paralizzata

9 minuti di lettura

Ci sono due donne, nella Perfetta illusione di Pappi Corsicato. Paola e Chiara, mora e bionda, sintetizzanti dei piani simbolici su cui rimbalza continuamente il film: l’illusorietà del sogno e la “perfezione” pragmatica della realtà (e viceversa). Il tono di cui l’opera s’intinge è evinto immediatamente: il decadimento etico dell’ambizione, commisurata sui suoi due poli d’attrazione – l’arte, il denaro -, è il filo attorno a cui la storia si annoda, finendo per negarsi allo spettatore.

In sala dal 15 dicembre, il nuovo lungometraggio del regista partenopeo sdoppia il suo dramma sentimentale ed esistenziale in diverse sconfessioni dell’individualità umana, permeando il racconto di un rebus spiacente in cui non si riesce a decidere se sia preferibile, prima che distinguibile, la realtà o l’illusione.

Corsicato dirige Perfetta Illusione prediligendo una narrazione intrinsecamente filmica, plasticamente veicolata da un linguaggio cinematografico che comunica con e dei suoi esistenti più di quanto non lo faccia, a conti fatti, l’arco drammaturgico che gli dà sostanza.

La premessa su cui si sviluppa Perfetta illusione riverbera un indovinello irrisolvibile: nel gioco d’azzardo di inseguire i propri sogni, quanto vale la pena scommettere su se stessi? 

Perfetta illusione: l’estinzione delle sfumature

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C’è un intero inventario di personaggi, nel film di Corsicato. Tutti paralizzati nel significato figurativo della propria presenza sullo schermo. Intorno, affianco e di fronte a loro, i tre protagonisti: Toni (Giuseppe Maggio), un aspirante pittore; Chiara (Carolina Sala), la sua chimera; Paola (Margherita Vicario), la sua castrazione simbolica.

Il licenziamento dalla spa, da cui aveva appena ottenuto una promozione, è il primo impulso al movimento narrativo e vitale di Toni. Sposato con Paola e mortificato da Chiara nel loro primo, fortuito, incontro. Di lì in poi il racconto prosegue con un incedere continuo di passi in avanti nel percorso di conoscenza e riscoperta di sé: da sempre interessato all’arte, amatoriale pittore, Toni ha rinunciato ad inseguire il sogno di fare della sua passione un lavoro, tarpandosi le ali per rincorrere un’idea, illusoria, di felice stabilità.

A gustarne i vantaggi è sua moglie Paola, fervida osservante di una religione imperniata su un unico dogma: il denaro. A sconquassare gli equilibri è Chiara, figlia benestante di una famiglia visceralmente inserita in tutti i nervi della Milano bene. Lei offrirà a Toni un nuovo lavoro in una galleria d’arte, lei si farà talent scout del dono di lui, lei gli prometterà un futuro raggiante, salvo poi portarglielo via.

Il triangolo è la forma di un film che assume camaleonticamente vesti di generi contaminati: commedia, dramma, crime. L’assenza di una personalità incasellante è ciò che ne smaschera la principale debolezza: Perfetta Illusione è un’opera che manca di corposità, uniformemente avvolta su se stessa nel richiamo di un immaginario che non ha evoluzione, non ha conflitto ma è solo un’esausta apologia di assoluto nichilismo.

Non che questo sia necessariamente motivo di critica, la storia del cinema è piena di ritratti di anti-eroi che agiscono in anti-società, ma nel lavoro di Corsicato sembrano estinguersi le sfumature, quelle idee di confronto in negativo funzionali, ed essenziali, per plasmare le identità.

Perfetta Illusione è molto linguaggio e poco contenuto

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Il cinema è un linguaggio a sé stante, eccezionalmente in grado di dotarsi di una sua comunicabilità. Perfetta illusione è un film che parla moltissimo con la sua costruzione visiva: la regia è una mano virtuosa che conforta e rafforza le emotività dei personaggi; rimarca l’oscurità del declino sociale con un contrasto cromatico che esalta la vivacità dei colori sgargianti; raccorda l’impossibilità di discernere illusione e realtà con un reiterato gioco sulla profondità di campo.

Tutto, nell’esposizione idiomatica dell’apparato tecnico, funziona in maniera brillante. Come nelle migliori realizzazioni, il piacere della visione è qualcosa di sottilmente percepito, quasi inafferrabile, sempre ispirato nell’orientare il processo di interpretazione dello spettatore.

Quasi la totalità delle sequenze è accompagnata da un continuo cambio di messe a fuoco, che alternativamente isolano i personaggi dagli sfondi o gli sfondi dai personaggi, come se non potessero mai appartenersi. L’impraticabilità della visione, il persistente tentativo di afferrare la realtà, agganciarla e abitarla sono, sembra suggerirci il regista, disperate speranze di riuscire a distinguere il concreto dal fatiscente.

La composizione dell’immagine si fa filmico contrappunto della parabola di Toni: la generosità verso se stesso nel concedersi un sogno, l’utopia di essere visto, la negazione di una sincera realizzazione sono i passaggi evolutivi di un personaggio che si sgretola sullo schermo, svicolandosi in una fioritura di false identità che, alla fine, non si cementifica in nessuna, condannandolo a una vita soltanto sfiorata dentro a uno spettro del reale.

E se ci aggrappassimo alle nostre illusioni?

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Perfetta illusione si bipartisce in due filoni tematici, che interessano il dramma sentimentale e la definizione stessa di ambizione. Quello che ci portiamo a casa, a visione finita, è un’idea confusa, annichilente delle proprie bramosie. Una scommessa sull’arte che anela al successo economico, individualistico, prima che intimamente artistico.

La cieca pulsione di Toni, cieca equamente verso il prossimo e verso se stesso, sembra riservare poco nulla di positivo, se non, forse, un auspicio ultimo di imparare a vedere e vedersi, prima di intentare la mossa successiva. In palio: un assoluto annientamento umano, inabile nel manovrare il proprio destino.

Optando per la stigmatizzazione del male, stilizzata in rappresentazioni statiche, prive di archi trasformazionali, Perfetta Illusione sfugge l’essenza. Le donne della vita di Toni – moglie, amante, vittime, carnefici – sono monoliti esemplificatori di sistemi valoriali banalizzati, semplificati: l’estro e il pragmatismo, il cambiamento e la stabilità, il ricco e l’aspirante ricco. Uomo sballottato da un punto all’altro dell’asse esistenziale, Toni è sprezzato da Paola e ammaliato da Chiara; ama una e sfrutta l’altra; mente a entrambe e di entrambe subisce la furia. Vorticano intorno ai tre comprimari caricature parossistiche di stereotipi culturali, su tutti un élite classista di sdegnosa morale, ferma davanti a nulla nel proteggere il proprio privilegio.

È lapalissiano che l’opera, dichiaratamente ispirata alle Illusioni perdute di Balzac, voglia tratteggiare un crudo affresco della meschinità sociali; la problematicità insorge nell’affanno opprimente di uno storytelling esacerbato e involuto, incapace di veicolare spunti di umanità in cui poter riconoscere una qualche verosimiglianza.

La vittima definitiva di tale avvilimento è lo stesso plot, esasperato da svolte narrative troppo marcate e protratto da personaggi ingessati in una ferocia che non si annulla in un fascinoso development antieroico ma rimane riproduzione identica di se stessa.

A fronte di questa posta in gioco, viene da chiedersi, non è meglio decidere di trattenersi, permanentemente, nello spazio sfocato dell’illusione?


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Laureata in Cinema e Comunicazione. Perennemente sedotta dalla necessità di espressione, comprensione e divulgazione di ogni forma comunicativa. Della realtà mi piace conoscere la mente, il modo in cui osserva e racconta le sue relazioni umane. Del cinema mi piace l’ascolto della sua sincerità, riflesso enfatico di tutte le menti che lo creano. Di entrambi coltivo l’empatia, la lente con cui vivere e crescere nelle sensibilità ed esperienze degli altri

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