È il 2016. Pretty Little Liars, il teen drama firmato Marlene King, in onda su ABC Family dal 2010, è alla sua sesta stagione.
L’attesa della rivelazione finale (un epilogo illusorio, la serie sarà rinnovata per un’ultima stagione bipartita) coinvolge migliaia di adolescenti nella rete sociale della serialità: si disattivano i social, si evitano i teaser promozionali, si chiudono gli occhi di fronte ai probabili spoiler dei più fortunati residenti in America.
L’identità di A, lo stalker di Spencer, Aria, Hanna, Emily e Alison (Troian Bellisario, Lucy Hale, Ashley Benson, Shay Mitchell, Sasha Pieterse), arriva in Italia filtrata dai fermo immagine di eurostreaming.it, un sito streaming che consentiva la riproduzione senza rispondere ad alcun vincolo contrattuale: la risoluzione dell’enigma ostacola il battito cardiaco, quando si manifesta sullo schermo ancor prima di premere play. Un errore madornale che riunì il dissenso di quanti avevano speso quasi una decade a teorizzarne l’identità.
Con l’arrivo di Pretty Little Liars su Netflix, l’evento fenomeno del 2010 sembra aver replicato il successo del decennio scorso, richiamando in campo figure imprescindibili del suo arco narrativo che oggi, come ieri, continuano a sostenerne l’ascesa.
Quando i blog raccontavano le serie
Netflix, Prime Video, Disney +, Apple Tv+: vivere il cinema a portata di telecomando è diventata un’alternativa immersiva irrinunciabile per le nuove generazioni. Le piattaforme streaming hanno condizionato per sempre forma, senso e routine della fruizione televisiva, investendo la serialità di un ruolo rinnovato: replicare il successo del decennio trascorso virando le logiche della contemporaneità mediale in una prospettiva fruibile. Quali sono oggi i parametri che un content creator deve rincorrere per saturare le esigenze dei fandom contemporanei?
Lo abbiamo chiesto a Francesco Gullo, in arte Frà Gullo da circa un decennio, “quello delle teorie” di Pretty Little Liars che dalla cameretta in Calabria, con telecamera frontale, dedicava intere notti a sviscerare gli intrighi e gli inganni di Marlene King. Nella vita, oggi, Francesco è un Content Creator con una spiccata dedizione alla serialità. Nato in seno alla culla dei blog, la sua figura professionale, analogamente a quella dei colleghi, ha dovuto reinventarsi per cercare di rispondere alle esigenze altalenanti di una community in continua evoluzione.
L’epilogo di PLL (acronimo per Pretty Little Liars, ndr.), il 27 giugno 2017, ha segnato una cesura irreversibile, motrice di una progressiva disaffezione e disaffiliazione degli utenti che, con il fandom, avevano contribuito a nutrire le fila dei proseliti di una serialità qualitativamente connotata: l’arrivo delle piattaforme ha portato all’emersione di un’inedita serialità in blocco, ad una deriva dell’interesse rispondente all’imperativo di immediatezza delle generazioni contemporanee.
Per saturare le richieste del nuovo pubblico, al content creator è stato chiesto di virare non solo il contenuto, piuttosto il contenitore delle sue riflessioni, declinate nelle nuove vesti di recensioni analitiche e argomentative che riuscissero a destare l’attenzione dei fruitori. D’altro canto, la frenesia produttiva della nuova serialità ha reimpiegato i creators in nuove logiche di fidelizzazione ed engagement della community, soprattutto in conseguenza della reclusione dovuta alla pandemia. Adeguarsi all’evoluzione dei gusti e delle aspettative del pubblico ha trasformato la figura professionale del creator in un vero e proprio brand, un marchio, un attestato di qualità — dato dal nome e dal successo originale — altamente lesivo della dignità creativa.
Pretty Little Liars è ancora un fenomeno?
Il fandom del decennio scorso diede linfa e risonanza ad un progetto che consolidò la sua memorabilità sull’architettura di teorie vincenti e fallimentari, persistenti, connettive, in grado di intessere legami sociali tra individui dagli interessi più disparati, spesso adolescenti che – marginali nella gerarchia liceale – ritrovavano voce nella dimensione collettiva del background seriale: la condizione d’esistenza del fandom era l’attesa notturna che i traduttori ripagavano con l’episodio disponibile nelle prime ore del mattino.
Oggi Netflix consente alle generazioni contemporanee una fruizione più easy & catchy della serialità: episodi in blocco, binge watching, riproduzione autonoma, assenza di pubblicità, sottotitolaggio, HD, e un affrancamento dalla gestazione narrativa (8 mesi circa per ciascuna stagione), trainante verso l’epilogo. Per una redazione, pianificare i contenuti mensili consiste nel vincere la frenesia del ricambio mediale: l’evento seriale si trasforma nel commento all’evento, trascendendo l’ontologia dell’evento stesso.
Sebbene oggi la maggioranza dei prodotti seriali esista in virtù del suo packaging da entertainment indistinto, PLL continua ad essere un fenomeno in grado di spodestare prodotti mainstream recenti (Élite) e competere con quelli di tendenza (Bridgerton): sebbene all’epoca non fosse un colosso, anzi manifestasse lacune riconoscibili, la mistione di plot indecifrabili e surreali spinsero alla necessità di tirare collettivamente le somme di un enigma. I numeri di Pretty Little Liars su Netflix portano senza dubbio la firma della nostalgia.
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