Il cast di The Last Viking di Anders Thomas Jensen sul red carpet di Venezia 82, con Mads Mikkelsen

Venezia 82- The Last Viking, c’è chi preferisce gli ABBA

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Fra i film Fuori Concorso di questa edizione del Festival di Venezia uno si è distinto per intelligenza e sensibilità: si tratta di The Last Viking, del regista danese Anders Thomas Jensen, con protagonisti Nikolaj Lie Kaas e Mads Mikkelsen. Pienamente in linea con i lavori precedenti di Jensen, si tratta di una commedia nera dallo spirito gentile, capace di divertire e colpire dritto al cuore di alcuni dei problemi più annosi della nostra contemporaneità.

The Last Viking – Guasti di Famiglia uscirà nelle sale italiane prossimamente grazie a Plaion Pictures.

Di che cosa parla The Last Viking?

La vicenda segue Anker (Nikolaj Lie Kaas) e Manfred (Mads Mikkelsen), due fratelli che si riuniscono dopo quindici anni di distanza: Anker, il maggiore, è stato in prigione per una rapina finita male ed ha affidato la corposa refurtiva al fratello, raccomandandosi di seppellirla nei pressi della loro casa d’infanzia. Al suo ritorno Anker trova Manfred più fragile che mai. Ora vuole farsi chiamare John, perché è convinto di essere il frontman dei Beatles nonostante non abbia mai preso in mano una chitarra. Anker, impaziente di ritrovare il bottino, lo trascina fino alla casa dove sono cresciuti nel tentativo di far emergere suo fratello dal marasma emotivo che imperversa dentro Manfred.

Nel film The Last Viking, Anker (Nikolaj Lie Kaas) e Manfred (Mads Mikkelsen) sono due fratelli molto diversi tra loro. Anker è un ex carcerato e ladro, Manfred crede di essere John Lennon. In questa scena, Manfred e Anker sono in un bosco, Anker ha un completo elegante e tiene in mano una pala. Manfred sembra confuso.

Va inoltre menzionato che ad assistere i fratelli arriverà uno squinternato psichiatra con originali idee su come curare il disturbo dissociativo dell’identità, che porterà con sé altri due pazienti con disturbi della personalità che si identificano nei restanti membri dei Beatles. Finiranno per suonare la musica di “quei bastardi svedesi degli ABBA”.

The Last Viking, nessun genere e tutti i generi

Se c’è una cosa che più distingue il cinema di Jensen è l’assenza di un genere ben definito: dal suo primo Luci intermittenti (2000) -che per altro ha lo stesso cast di The Last Viking– il regista gioca ad incrociare il noir, la commedia, il dramma e l’action. Senza una macchia sulla carriera, anche questo nuovo film riconferma che Jensen è assolutamente capace di contaminazioni impensabili per altri autori. L’inizio di The Last Viking è addirittura una vera e propria fiaba animata.

Mads Mikkelsen, Anders Thomas Jensen e Sofia Gråbøl durante la conferenza stampa di The Last Viking a Venezia 82
Sofia Gråbøl, Mads Mikkelsen e Anders Thomas Jensen durante la conferenza stampa di The Last Viking a Venezia 82.
Credits:  J.Salvi La Biennale-Foto ASAC

Anche questo è un grande elemento che torna ciclicamente nel cinema del regista: la nozione di fiaba può essere applicata ad ogni suo film, che gioca con le caratteristiche del fantastico ed i suoi stereotipi, spesso traendo lo spettatore in inganno con un falso senso di sicurezza e magia, rapidamente spezzato da una qualche esternazione di violenza estrema o pragmatico cinismo. In The Last Viking il tenore narrativo è quindi fiabesco, con tanto di morale finale: problemi complessi sono affrontati con la semplicità dei bambini, riuscendo a divertire nei modi e nei contenuti pur parlando di malattie mentali.

“Nessuno è menomato se tutti lo sono”

Già in Luci intermittenti Jensen includeva un lato drammatico: in particolare, si rifà costantemente all’idea che certi eventi siano scritti nel destino e quindi immutabili per loro stessa natura. C’è un ordine prestabilito a tutta la follia dei suoi personaggi, che agiscono, pensano e sono in un determinato modo sempre per via di un qualche avvenimento scatenante che ha “segnato il loro percorso.” Tutta questa riflessione sull’inevitabile concatenazione di eventi è esplicitata nei suoi capolavori Le mele di Adamo (2005) e Riders of Justice (2020), ma torna sotto nuove spoglie anche in The Last Viking.

Anker (Nikolaj Lie Kaas) e Manfred (Mads Mikkelsen) in una scena di The Last Viking, presentato fuori concorso a Venezia 82- Qui Manfred veste i panni stravaganti di un cantante, mentre il fratello Anker indossa uno smoking. Entrambi hanno volti sconcertati e guardano fuori campo.

Almeno due possibili letture che ricolleghino questo nuovo film alla tradizionale ossessione di Jensen per la casualità e l’effetto: da un lato la scrittura dei personaggi, tutti tridimensionali grazie al sapiente utilizzo di flashback, che vivono problemi attuali per via di traumi annidati nel loro passato. In particolare il rapporto fra i fratelli è incredibilmente ben scritto proprio grazie alla lunga catena di esperienze estreme che li lega, prima fra tutte il padre abusivo.

In secondo luogo, la predestinazione si manifesta anche nella “diversità” di Manfred: fin da piccolo voleva infatti vestirsi da vichingo. “Non esistono più i vichinghi” dice il piccolo Anker al fratellino cercando di convincerlo a togliersi l’elmo cornuto prima di essere scoperto dal padre, che trova l’identità vichinga del bambino ridicola e fuori luogo. “Ma io esisto, sono l’ultimo” risponde Manfred.

Manfred è un vichingo, si è sentito un vichingo fin dalla nascita e il suo desiderio di poter affermare la propria identità liberamente lo consuma al punto da scontrarsi con le ire del padre che lo vorrebbe normale. Ora vuole farsi chiamare John per schermarsi dai traumi passati: è John perché è sempre stato punito per essere un vichingo.

The Last Viking, una fiaba per parlare di inclusività e accettazione dell’altro

Ovviamente si tratta di una geniale metafora dalle molteplici letture: una storia di disabilità, di accettazione del diverso e di affermazione di genere tutto insieme. E per spiegare i tempi che cambiano e la moltitudine di possibili e valide esperienza di vita, lo psichiatra Lothar (Lars Brygmann) utilizza come esempio l’IKEA: inizialmente c’erano solo pochi mobili disponibili, ora ognuno può costruirsi quello che vuole ed arredare casa sua come preferisce.

In questo senso The Last Viking dialoga sui temi dell’inclusività con un altro film visto qui a Venezia 82, After the Hunt di Luca Guadagnino: dove Guadagnino critica sia il vecchio che il nuovo, Jensen ironizza senza pietà sul vecchio; il proprietario di casa che ospita i protagonisti è un anziano signore sfigurato -nessuno è perfetto e siamo tutti brutti e belli a modo nostro- molto scettico verso la diversità di Manfred: continua a ripetere che la realtà oggettiva è importante e che non andrebbe ignorata, che l’eccessiva accettazione è un male e soprattutto che i Beatles sono oggettivamente meglio degli ABBA.

Quando, dopo il finale, siamo accolti dalla seconda parte della fiaba animata vista in apertura al film, Jensen lancia l’ultima esilarante palla curva di The Last Viking: la storia, che durante l’inizio sembrava riassumere i temi del film, è scritta e narrata dall’anziano signore e si rivela quindi in netta contrapposizione con la vera morale The Last Viking. Alla fine è facile essere gentili gli uni con gli altri: basta non giudicare, neanche chi preferisce Chiquitita a With a little Help from my Friends.


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Appassionato e studioso di cinema fin dalla tenera età, combatto ogni giorno cercando di fare divulgazione cinematografica scrivendo, postando e parlando di film ad ogni occasione. Andare al cinema è un'esperienza religiosa: non solo perché credere che suoni e colori in rapida successione possano cambiare il mondo è un atto di pura fede, ma anche perché di fronte ai film siamo tutti uguali. Nel buio di una stanza di proiezione siamo solo silhouette che ridono e piangono all'unisono. E credo che questo sia bellissimo.

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