Duyao Mao, The Poison Cat, è il cortometraggio scritto e diretto da Tian Guan, scrittore e regista cinese, presentato alla Mostra del cinema di Venezia nella sezione Orizzonti. Della durata di 17 minuti, il corto racconta la vita all’interno di un villaggio rurale della Cina il cui modello dominante è quello patriarcale, inteso nella maniera più rigida possibile.
Su tutto grava la leggenda del Gatto Velenoso, The Poison Cat, appunto, un animale misterioso e inquietante che con le sue urla terrorizza gli abitanti del villaggio. Gli uomini ricollegano l’essere mostruoso alle donne della comunità e al loro desiderio di emancipazione, espressione e libertà, interpretano le sue urla come una minaccia e reagiscono riducendo le donne a uno stato estremo di sottomissione, costringendole in casa, vietando loro di uscire, picchiandole e trattandole da schiave.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Tian Guan, il regista di The Poison Cat. L’articolo raccoglie alcune delle sue parole sul cortometraggio.
The Poison Cat, la demonizzazione delle donne
The Poison Cat è in tutto una vera e propria critica sociale, una riflessione sul rapporto tra genere e potere; Tian Guan punta l’occhio sulle zone più rurali, povere e arretrate della Cina, ma ciò che realizza è in realtà un ponte tra passato e presente, tra tradizione e realtà concreta. Raccontando una leggenda fantastica e ambientando la sua storia in un villaggio tra i più isolati, approfondisce una delle tematiche che da sempre influenzano la società e i rapporti di genere e che ancora oggi possiede un peso importante, il concetto di mostruoso femminile.
Alle donne è sempre stata riconosciuta una mostruosità intrinseca, una differenza sostanziale rispetto agli uomini che le rendeva aberranti e alla luce di questo, della loro difformità, e quindi della loro devianza e degenerazione, si è formata negli uomini la necessità di sottometterle. Il microcosmo che abita il villaggio è la rappresentazione del patriarcato come subordinazione delle donne al dominio maschile, un dominio dato dalla violenza e dal sopruso. Le donne che vediamo sembrano non avere scampo, non avere possibilità di fuga o ribellione, non poter nemmeno pensare, esse stesse, a un’alternativa possibile, accondiscendenti e asservite a un sistema che hanno introiettato dalla nascita.
Ma il mostruoso femminile riguarda un’entità che si è ribellata al dominio maschile, che ha liberato la sua parte più deforme e spaventosa, ed è quindi diventata mostro. Come dice Jude Ellison Sady Doyle “mostro è una donna che si è sottratta al controllo dell’uomo”.
NPC – Il tema centrale di The Poison Cat è la demonizzazione della donna da parte dell’uomo raccontata attraverso la leggenda del gatto Velenoso, come ne sei entrato in contatto? La credenza e l’ideologia che sviluppa e alimenta ha avuto delle ricadute sulla tua vita personale?
TIAN GUAN – Innanzitutto, vorrei aggiungere un’altra cosa: il tema di questo cortometraggio [The Poison Cat, ndr] non è solo una critica alla demonizzazione delle donne, piuttosto cerca di rivelare la paura maschile alla base di esso, la paura di perdere potere in un contesto in cui l’emancipazione femminile continua a crescere. Questo mi ricorda alcune notizie che ho visto spesso sui social media cinesi nell’ultimo anno, in cui le donne accusano gli uomini di averle filmate o molestate di nascosto sui mezzi pubblici, solo per scoprire in seguito che si trattava di un malinteso.
Ciò che mi ha lasciato una profonda impressione sono stati i commentatori maschi, che hanno attaccato, deriso e vilipeso quelle donne come se avessero commesso un grave crimine. A mio avviso, sembrava che questi uomini stessero aspettando un’opportunità per avventarsi su di loro. Per anni, le donne hanno subito molestie sui mezzi pubblici senza osare parlare.
Ma con il cambiare dei tempi, sempre più donne trovano il coraggio di alzare la voce. In superficie, nessun uomo osa opporsi apertamente a questa tendenza, ma molti nutrono ancora un’indicibile sensazione di vedere il loro potere messo in discussione. Questo senso di disagio esplode in rabbia e isteria quando sentono di aver “catturato qualche prova”. È pietoso e spregevole. Purtroppo, la conseguenza potrebbe essere che le donne, che stavano appena iniziando a trovare coraggio, potrebbero ora iniziare a esitare e alla fine rimanere in silenzio. L’atteggiamento aggressivo di quegli uomini tradisce una paura radicata, codardia e impotenza. Questo è ciò che intendo esplorare e satirizzare nel corto.
Il mostro nel bosco in The Poison Cat
In The Poison Cat, apprendiamo, quindi, che il mostro nel bosco non è una creatura mitologica, è la donna stessa liberata, sono le donne che si sono ribellate alla sottomissione, che hanno capovolto le regole del gioco.
Gli uomini temono le donne da sempre, per questo hanno costruito la società sul modello patriarcale, per togliere loro ogni potere, ogni possibilità di espressione e affermazione, ma il loro dominio, ora, è stato minacciato dal varco che queste donne si sono aperte, unendosi tra loro e trovando un luogo isolato che sia soltanto loro, in cui essere libere dalle regole e dai controlli. Gli uomini devono avere paura perché il modo che queste donne hanno trovato per spezzare le catene e rivendicare la loro autonomia è letteralmente di mangiarsi tutto ciò che l’uomo è e rappresenta.
Vicino ad altre espressioni del cinema contemporaneo di stampo femminista, The Poison Cat riesce a sfruttare al meglio il suo limitato minutaggio raccontando una storia che è al tempo stesso antica e contemporanea, lontana ma terribilmente vicina a ogni donna, potente nel suo essere diretta. Sia la situazione iniziale di controllo e sottomissione, sia quella finale con lo scoprimento del fantastico, sono raccontate, in The Poison Cat, secondo il punto di vista dell’uomo, questo, però, se all’inizio ci rimanda denigrazione, cattiveria e meschinità, nel finale il ribaltamento è totale e se riusciamo a percepire il terrore e la paura di questi uomini riusciamo anche a empatizzare con le donne, con la loro rivalsa e il loro senso di libertà.
NPC – Raccontare la storia dal punto di vista degli uomini comporta indagare soprattutto la perdita del controllo da parte loro e, da un certo punto di vista, relegare l’esperienza femminile in secondo piano, perché hai scelto questo punto di osservazione e come pensi possa aver contribuito alla narrazione in The Poison Cat?
TIAN GUAN – La risposta a questa domanda è strettamente correlata alla mia risposta precedente. Poiché il cortometraggio mira a esplorare, esporre e satirizzare le paure interiori degli uomini di fronte all’emancipazione femminile, inizialmente avevo deciso di raccontare la storia da una prospettiva maschile. La sfida che questo comporta è che il personaggio che seguiamo per tutto il film è quello che intendiamo satirizzare alla fine. Vogliamo che il pubblico inizi allineato con il protagonista maschile, passi gradualmente a una posizione più oggettiva e infine sviluppi una connessione con i personaggi femminili. Ottenere questo cambiamento psicologico in un cortometraggio di circa 17 minuti è piuttosto difficile. Fortunatamente, credo che siamo riusciti a superare questa sfida attraverso le strategie visive.
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