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Una scena di Allégorie citadine di Alice Rohrwacher e JR

Venezia 81 – Allégorie citadine, tra cinema e filosofia

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5 minuti di lettura

Allégorie citadine (An Urban Allegory) di Alice Rohrwacher e JR è un piccolo trattato di filosofia delle immagini che ci ricorda che il cinema è la prima fabbrica delle illusioni.
I due registi riadattano il mito della caverna di Platone su uno scenario contemporaneo e metropolitano e utilizzato per parlare del cinema e delle sue immagini. Come suggerito dal titolo, Allégorie citadine si pone come un sequel ideale di Omelia contadina, il precedente lavoro del duo Rohrwacher-JR.

Il cinema, la realtà e le sue ombre

Una scena di Allégorie citadine di Alice Rohrwacher e JR

Quanto è grande il potere illusorio delle immagini che vediamo? Come si pongono gli artisti, coloro che creano le immagini, rispetto al loro potere di ingannare, nascondere, contraffare la realtà?
In Allégorie citadine queste domande vengono poste dallo sguardo curioso e interrogatore del piccolo Jay: d’altronde chi meglio di un bambino può smascherare il gioco delle ombre e arrivare alla verità delle cose?

Infatti sarà proprio lui, complice la rivelazione di un Leos Carax intento a dirigere un balletto ispirato al mito platonico, il primo a fuggire dalla caverna e a scoprire la differenza tra ombre e immagini concrete, tangibili, reali.

Attraverso il viaggio urbano di Jay tra il brusio e la calca della metropoli, Rohrwacher e JR percorrono le strade di Parigi cercando ciò che si nasconde sotto i rumori della vita urbana: Allégorie citadine tra lo sguardo e la voce di un bambino diventa un richiamo di libertà.


Il piccolo Jay chiede che le catene vengano spezzate e il pensiero venga lasciato «libero di scorrere senza fermarsi»: per farlo è necessario liberarsi dell’illusione, smascherare l’inganno, esercitare lo sguardo a guardare sotto la superficie delle cose.

La solitudine fuori dalla caverna


Ma il bambino una volta uscito dalla grotta si sente solo. Ormai parte di una dimensione invisibile a chi è ancora prigioniero della caverna urbana, si chiede sconsolato: «Gli altri gli avrebbero creduto? Certo che no». Non serve a nulla possedere la conoscenza autentica se non la si può condividere con nessuno, se nessun altro può servirsene per liberarsi dalla tirannia delle ombre.

Rohrwacher e JR, in linea con la loro poetica, estraggono dal mito platonico una lettura sociale e comunitaria: nessuno si salva da solo e per sperare di accendere anche soltanto una scintilla di rivoluzione è necessario condividere il fuoco con gli altri.


Allégorie citadine è una sintesi efficace delle visioni del mondo di Rohrwacher e JR, che si servono di metodi diversi per veicolare un’idea comune presente in tutti i loro lavori. Una concezione umanistica del cinema e delle arti, che pone al centro e valorizza la componente umana individuale e collettiva, che crede in un’arte gentile e radicale.

Un’arte non elitaria che può essere rivendicata dalle comunità di persone, non più oggetto di uno sguardo predatorio che estrae valore senza restituire nulla, ma soggetti attivi e creatori, esploratori curiosi e padroni dello spazio che abitano.

Il risultato finale è una favola urbana, carica dei simbolismi e delle allegorie care a Rohrwacher, che abbandona gli scenari bucolici e rarefatti per mostrarci attraverso il suo sguardo carico di misticismo lo spazio urbano con tutte le sue cicatrici.

In Allégorie citadine, gli spazi della città si trasformano e si svelano: sotto la coltre di grigiore e il brusio automatizzato della vita urbana emergono i luoghi vissuti dalle comunità, spazi di creatività e di resistenza che recano i segni degli esseri umani che li vivono e li attraversano.

Compito del cinema è riscoprirli, rappresentarli e onorarli. E soprattutto di non dimenticare la cosa più importante di tutte: l’umanità.


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Classe 1999, una delle tante fuorisede in terra sabauda. Riguardo periodicamente "Matrimonio all'italiana" e il mio cuore è diviso tra Godard e Varda. Studio al CAM e scrivo frammenti sparsi in giro per il mondo.

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