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Amanda, il conflitto materno a cui la critica non ha prestato attenzione

La depressione post-adolescenziale di Amanda è stata osservata solo dalla prospettiva del contesto Covid, ma il film di Carolina Cavalli ha altro da dire.

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8 minuti di lettura

Ormai è chiaro, la 79esima edizione del Festival Internazionale del Cinema di Venezia pone sotto i riflettori il profondo senso di solitudine dell’essere umano. La pandemia, in tal senso, ha chiaramente un ruolo centrale nella contaminazione, non solo delle scelte stilistiche di autori e registi, ma ha anche risvegliato nello spettatore quella necessità umana di identificarsi con personaggi e storie che riflettano l’umore sociale del contemporaneo.

Dopo la solitudine innescata dal ripudio del proprio corpo con il The Whale di Darren Aronofsky e la dipendenza affettiva provocata dal rifiuto materno del dramma intimo di Monica di Andrea Pallaoro, arriva anche la depressione post-adolescenziale di Amanda. Ma dietro il film c’è molto più di una chiara offesa ai sistemi di relazione richiesti dagli strumenti dei nuovi media, perché in Amanda a strappare la narrazione è la profonda critica nei confronti del conflittuale rapporto materno.

La depressione post-adolescenziale di Amanda è stata osservata solo dalla prospettiva del contesto Covid, ma il film di Carolina Cavalli ha altro da dire.

Nel mirino l’aristocrazia femminile

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Con questa sua opera prima Carolina Cavalli scrive e dirige il lungometraggio posizionato nella categoria Orizzonti Extra, una divertente commedia sulla complessità psichica della sfera femminile che regola il rapporto madri/figlie.

In questo mondo iperconnesso, la giovane ma ormai adulta Amanda (Benedetta Porcaroli) è sola. Sembra strano a dirlo e pure non lo è, in questa società mediale proiettata alla condivisione istantanea, si consuma però, la tragica parte oscura della comunicazione multimediale: la dipendenza affettiva.

Siamo sui social e abbiamo a disposizione ogni tipo di piattaforma connettiva ma la sola cosa che cerchiamo è la vicinanza dei corpi. Perché, in fondo, tutto ciò di cui abbiamo bisogno è toccare e amare profondamente. Amanda ha venticinque anni ma affettivamente ne ha molti meno, perché nessuno le ha mai insegnato come si faccia. Quel poco che sa dell’affetto è istintivo e inconsapevole, ciò che ama dell’amore è la sensazione che prova nel sentirsi meno sola. Cresciuta in una famiglia borghese asettica e distante, la giovane donna è cresciuta con l’educazione del distacco emotivo, nessuno si abbraccia e nessuno condivide sentimenti. Con una madre che non sembra una madre, algida ai limiti della finzione, un padre inesistente e passivo e una sorella distaccata, la famiglia della giovane è la rappresentazione beffarda dell’aristocrazia contemporanea.

Una composizione di vittime della noia che si crogiola tra i tanti disturbi psichiatrici e affettivi stratificati da generazioni. Il risultato? Un componimento di donne isteriche che non hanno imparato l’amore e che di conseguenza non riescono a darlo nemmeno alle figlie.

L’esigenza di amare

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Con l’esigenza di amare ci nasci, ad alcuni si può insegnare, ma Amanda, non è stata istruita ai paradigmi del comportamento relazionale. Ai limiti dell’inverosimile, il rapporto con i componenti della famiglia, uniti soltanto dal legame consanguineo, è tra i più anaffettivi. Una cerchia di personaggi femminili, quelli che orbitano intorno ad Amanda, da cui è davvero difficile imparare qualcosa, soprattutto ad amare. Ma lei ci prova da sola a farlo e così uno dopo l’altro divora, in totale solitudine, nel cinema pomeridiano, storie che parlano d’affetto. La sua visione dell’amore è edificata a partire dall’ennesimo mezzo mediale, uno tra i più nobili certo, ma pur sempre uno strumento artificioso.

Scollata e rincollata da un posto all’altro, Amanda non ha radici ed è costretta a far ritorno a casa dei genitori farmacisti. A contrapporsi allo stile signorile e austero della tappezzeria degli interni di questa famiglia borghese, lo sporco metropolitano della città che vive di notte nei bassifondi dell’oscurità. Su Amanda le luci al neon tipiche della composizione fotografica del cinema indipendente americano, aliene e alienanti. E pure, nel film della Cavalli tutti ci sembrano extraterresti, tutti, tranne Amanda. Lei è una giovane borderline che ancora non ha trovato uno scopo, non ha amici, né un lavoro, né un fidanzato.

Tutto ciò di cui ha bisogno è parlare, chiedere consigli e confronti sul suo modo di intervenire nelle relazioni interpersonali, ma è talmente sola che per farlo cerca il suo interlocutore su chatroulette alle tre di notte. Completamente schiacciata dal peso delle aspettative di una famiglia sgradevole e seccante che si sente al di sopra di chiunque, Amanda adora disgustarla ancora di più.

Galoppando verso la consapevolezza affettiva

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Anticonformista e ribelle la giovane donna persevera e non permette alla cenobitica famiglia di impedirle di spiccare il volo affettivo. Ci prova in ogni modo a farsi degli amici e così, inizialmente costretta da sua madre, instaura giorno dopo giorno un forte legame con un’altra giovane problematica Rebecca, vittima anche lei di profonde ripercussioni dello spettro emotivo causate dal conflittuale rapporto materno.

A sedarla? Una discreta dose di psicofarmaci e una psicoterapeuta raccapricciante pagata dalla madre altrettanto disturbata. Ma in fondo, con una bella dose d’amore, anche Rebecca riesce a scappare dalla sua gabbia mentale. Come lo fa? Con un cavallo bianco, simbolo per eccellenza delle fiabe classiche. Così, come un principe, Rebecca galoppa sul destriero per salvare l’amica compagna di disgrazie emotive.

Un racconto di donne emotivamente apatiche, devastate e distruttive per loro stesse e per le figlie che crescono, questo è l’argomento più sensibile che esamina la talentuosa regista di Amanda. Complice di questo gioco ironico ma fortemente accusatorio, una scrittura consapevole, ben organizzata e mai superficiale. A brillare però non è soltanto Amanda, ma anche la sua interprete, Benedetta Porcaroli che dimostra una notevole maturazione artistica dal suo primissimo lavoro come protagonista in Baby.

Completamente a suo agio nei panni di una donna con la consapevolezza emozionale di una bambina infiocchettata, la Porcaroli è la degna interprete di questo dramedy squisitamente anticonvenzionale e sfacciatamente ironico.


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