“Circa 40 mila sfratti all’anno, più di 100 al giorno“, così il regista Juan Diego botto, al suo primo lungometraggio on the Fringe, risveglia la giuria addormentata del Lido di Venezia, e questo, è soltanto l’epilogo. La 79esima edizione del Festival orientata su storie intime di personaggi feriti e ridotti a brandelli, ci ha fatto immergere in tanti spaccati di vita organizzati sulla costruzione di identità cagionevoli rese tali dai traumi e degli inneschi del sistema contemporaneo.
A rompere lo schema tragicamente poetico della confusione identitaria umana, il disastro urbano e civico provocato dall’avarizia del capitalismo. Al centro di questo dramma spagnolo la grettezza di uno stato respingente e mai accogliente e ad accaparrarsi l’attenzione del pubblico della sala e della narrazione tre individui alle prese con situazioni difficili e umilianti per cercare di assicurarsi e assicurare una sopravvivenza onorevole.
On the Fringe: Ventiquattro ore per attaccare
24 ore è questo il tempo che On the Fringe concede alle vittime dell’insistenza bancaria e governativa per provare a ribaltare la situazione in cui riversano. L’obiettivo è quello di restare a galla, a sfioro sulla superficie dell’acqua e continuare a prendere ossigeno fino a quando verranno a farti a pezzi la porta per buttarti fuori di casa. Il problema non è riuscire a vivere in strada, perché tu forse, potresti anche farcela, ma ai tuoi figli piccoli come spieghi che dovranno dormire al freddo? Questo è il primo dei drammi presentati da Juan Diego Botto.
Azucena (Penelope Cruz) è una donna alle prese con uno sfratto esecutivo a causa di una banca inflessibile sui pagamenti mancanti. Una Penelope Cruz, che a tratti ricorda vagamente il volto segnato dal sacrificio di Anna Magnani, scalpita, urla e morde per impedire a chiunque di portarsi via la sua casa e l’infanzia del figlio. Rafa (Luis Tosar) invece è un avvocato impegnato per il sociale che prova disperatamente a salvare tutti tranne che sé stesso e la sua vita relazionale. E poi Teodora (Adelfa Calvo) una madre, che cerca disperatamente di riabbracciare suo figlio attanagliato dal senso di colpa per aver fallito con la sua impresa, i cui garanti erano i genitori.
Ma per quanto i presupposti incriminatori di On The Fringe siano lodevoli e degni dell’attenzione di Juan Diego Botto e della nostra, l’esperienza filmica si esaurisce senza lasciare nulla al pubblico, nonostante la drammaticità degli eventi. Il problema dei film denuncia, tra i filoni più ostici, è che spesso che per cercare di dare voce a tutto, si mettono sul tavolo troppe situazioni senza riuscire a sviluppare un discorso organico che sia capace di esporne la complessità.
Un racconto frammentato per drammi troppo complessi
Flebile e poco credibile di On the Fringe è soprattutto l’eccessiva frammentazione delle situazioni che vengono continuamente lasciate e riprese senza rispettare alcuna linea temporale efficace. In questo clima di forte agitazione e caos visivo, spaziale, temporale e tecnico, sia del racconto che della sua lavorazione, i rivoltosi si affannano come formiche nelle ultime calure estive restando schiacciate da una regia inesperta. La camera a spalla onnipresente segue, senza mai raggiungere né i personaggi né i loro compromessi esistenziali.
L’unico elemento convincente della costruzione della storia è la smania di sopravvivenza di questa gente che viene rimbalzata da un ufficio all’altro, da un posto all’altro. Tutti corrono e si dimenano per cercare qualcosa: attenzioni dei media, dello stato, di affetto. Tutti i soli di On the Fringe non cercano soltanto la dignità sottratta ma anche e soprattutto la considerazione delle persone care. Che poi in fondo le guerre si fanno così, con un esercito, con qualcuno su cui contare per elaborare una strategia, insomma, con qualcuno a cui dire ” guarda come ho tentato di risollevarci oggi”.
E pure nella denuncia di Juan Diego Botto restano tutti soli pur di combattere la battaglia della sopravvivenza, così come Bathia che pur di riempire il frigorifero di casa lavora senza sosta rischiando che gli assistenti sociali le tolgano la figlia. Tutto si perde e tutti sono travolti e sepolti da una serie di drammaticità che portano inevitabilmente ad altri disagi. A monopolizzare la linea temporale del film è soprattutto l’escalation di drammi che si susseguono nell’arco di tempo delle 24 ore. Una corsa contro il tempo su cui nemmeno dr. Strange riuscirebbe a farla franca, figurarsi gli umili operai protestati dalle banche.
Ai margini di una società che sputa e non accoglie
Vivere ai margini, così devono sentirsi le vittime di esistenza sospirata che auspicano ogni giorno nella sopravvivenza della dignità umana e civile. Che poi cosa significa civile? Comportarsi responsabilmente, pagare le tasse, procurarsi il cibo onestamente, lavorare e soprattutto avere un tetto sopra la testa. On the Fringe cerca il suo pubblico e lo chiama ad interrogarsi sulla condotta incivile di uno stato che applica delle leggi moralmente incondivisibili.
Nel racconto di questi “soli” relegati ai margini è l’impulso esistenziale di sopravvivenza a dare la spinta narrativa alla storia. Juan Diego Botto si mette in prima linea con un contenuto già di per sé incredibilmente denso e fecondo di sentimenti, e pure ci mette ancora dell’altro con una struttura fuori sincrono e decisamente troppo impulsiva. L’idea di Juan Diego Botto di mettersi in una posizione di vicinanza emotiva a questi combattenti senza esercito finisce per dilatarsi ed esaurirsi in una messa in scena agitata ed eccessivamente frammentata.
La camera di On The Fringe segue spasmodica, incuriosita ai limiti della scopofilia immersiva, dalla frenesia dell’istinto di sopravvivenza di queste persone, perdendo di vista l’asse emotivo che domina le vittime. In definitiva? Un thriller sociale che vuole agitare il pensiero critico ed il senso morale dello spettatore in sala senza convincerlo realmente. Il forte senso di inquietudine su cui è predisposta la traiettoria del racconto procede agitata verso un ostentato climax del tutto insoddisfacente. On the Fringe resta quindi un film caotico e sprovveduto che si consuma senza affetto, senza riuscire a suscitare empatia per i personaggi, persi anche loro in una storia farneticante.
Seguici su Instagram, Tik Tok, Facebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!