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Belle Mamoru Hosoda

Belle, l’animazione ben fatta ma un po’ troppo piena di sé

L'ultimo lavoro di Mamoru Hosoda è un mix di tematiche ricorrenti trattate con stile. Ma è lo stile sufficiente a conquistare il pubblico? Scopriamolo.

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6 minuti di lettura

In occasione della cerimonia dei Premi Oscar 2019, l’anime Mirai, firmato Mamoru Hosoda, otteneva una nomination nella categoria miglior film d’animazione; tre anni dopo, con l’uscita di Belle, le aspettative non potevano che essere molto alte. Scopriamo se la pellicola ha soddisfatto il pubblico in sala, o se al contrario non vale il prezzo del biglietto.

Scopri tutto quello che devi sapere prima di vedere Belle

La trama di Belle in breve

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Una scena di Belle

Nel pieno dell’era della tecnologia, un’applicazione permette a chiunque sia in possesso dello smartphone di essere catapultato in una realtà virtuale chiamata U, popolata da avatar generati automaticamente in base alle caratteristiche biometriche di chi vi accede.

Suzu è una liceale timida e riservata, emotivamente segnata dalla morte di sua madre e da allora incapace di cantare; quando l’algoritmo le associa un avatar dalle sembianze angeliche, chiamato Belle, la ragazza si libera delle sue paure riuscendo, sulla piattaforma, a coltivare la sua passione e ottenere la fama. Sarà l’arrivo di un misterioso drago a mettere in discussione la sua carriera, insieme alla pace dell’intero mondo di U.

Perché guardare Belle

L’ultimo prodotto firmato Hosoda non ha nulla da invidiare, dal punto di vista artistico, ai pilastri del genere. Sia l’avatar della protagonista sia la figura del drago presentano tratti tendenzialmente favolistici fusi a elementi tipici della tradizione giapponese, immancabili in questo genere di pellicola e capaci di conferire un tocco in più di magia a ogni personaggio.

Proprio come la maggior parte degli anime giapponesi, inoltre, Belle vanta ambientazioni squisitamente tradizionali e rese graficamente in modo ineccepibile, a cui si contrappone, ma senza troppo distacco, l’ atmosfera psichedelica del mondo di U.

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Belle e il Drago in una scena del film

La rappresentazione della realtà virtuale U rende la pellicola un’opera d’arte da gustare con gli occhi e le orecchie. L’ambiente è popolato da avatar non convenzionali, unici nel loro genere grazie a una caratterizzazione non fondata su una fisionomia standard, ma priva di qualunque linea guida predefinita: il risultato è una società virtuale composta da esseri che sembrano provenire da opposti angoli dell’universo, ma ognuno in possesso di una peculiare bellezza.

Gli ambienti di U sembrano non avere confini, e pur essendo prevalentemente notturni splendono grazie alla presenza di fonti di luce artificiale, gialla o bianca a seconda del contesto, disseminate in ogni angolo dello spazio in cui la scena si svolge.

Infine la colonna sonora di Belle, resa da un’alternanza di melodie simili a ninne nanne e canzoni in grado di scatenare forti emozioni, garantisce la totale attenzione del pubblico e il mantenimento di un’atmosfera sonora a metà tra la favola e un tentativo d’ipnosi.

Perché Belle è sopravvalutato

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Belle in una scena del film

Nonostante l’innegabile valore artistico di Belle, molte sono le scelte di sceneggiatura che avrebbero necessitato di ulteriore revisione prima della sua effettiva realizzazione.

Essendo il film focalizzato non soltanto sulla realtà virtuale ma sulla personalità della giovane Suzu, è deludente osservare come l’evoluzione del suo personaggio sia stata resa solo tramite una serie di brevi momenti legati insieme, risultando infine approssimata e poco credibile.

Analogamente, i rapporti tra la protagonista e la sua ristretta cerchia di conoscenze non risultano adeguatamente trattati, forse per mancanza di tempo da dedicarvi, o più probabilmente perché, infondo, si tratta di dinamiche tipicamente adolescenziali viste e riviste negli ultimi cinquanta anni, a cui non vale la pena prestare tanta attenzione.

Nel complesso, l’impressione che si ha alla fine del film è che il regista sia stato pervaso da un forte senso d’indecisione, sfociato in un tentativo di convogliare in un paio di ore più tematiche tra quelle care al grande pubblico ma senza curarsi della credibilità del risultato, allo stesso modo in cui un bambino mischia i colori rosso, giallo, e blu ottenendo il marrone. Esempio lampante la scelta di riportare alcune sequenze de La Bella e la Bestia per raccontare il rapporto tra Belle e il drago, invece di approfondirlo in modo originale.

Ciò che resta dopo la visione del film, in parole povere, è la sensazione che non abbia uno scopo, e che cerchi di trasmettere troppi messaggi allo stesso tempo fallendo da qualunque punto di vista, contando sul fatto che, dopotutto, resta sempre molto piacevole da guardare.


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Classe 1996, dottoranda in Ingegneria Industriale all’Università di Napoli Federico II, il cinema è la mia grande passione da quando ho memoria. Nerd dichiarata, accanita lettrice di classici, sogno di mettere anche la mia formazione scientifica al servizio della Settima Arte. Film preferito? Il Signore degli Anelli.

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