fbpx
crater

Crater, il coming of age lunare evade verso la semplicità

Un racconto di formazione interessante ma che resta troppo in superficie

7 minuti di lettura

Dietro alle premesse produttive di Dan Cohen e Shawn Levy, che all’attivo hanno il successo di Stranger Things, sgomita per trovare il suo spazio la nuova uscita in casa 21 Laps Entertainment: Crater.
Disponibile su Disney+ dal 12 maggio, il progetto sci-fi scritto da John Griffin e diretto da Kyle Patrick Alvarez varia sul tema del coming of age, sobbalzando tra superfici lunari, avventura, amicizia, crescita e importanza dei passaggi. Su tutti, quello all’età adulta, attraverso i lutti, le separazioni, i sacrifici e le lotte personali e comunitarie.
Crater
sembra non volersi rivestire di molto altro, accomodandosi consapevolmente su una semplicità narrativa che ha l’unica urgenza di arrivare al proprio target. E per un intrattenimento senza pretese, ci si può accontentare.

Crater: tra l’utopia Omega e lo spirito d’avventura

crater

Caleb (Isaiah Russell-Bailey) ha un desiderio: tenere fede alla promessa fatta al padre (Scott Mescudi) prima di morire. Quella promessa è il raggiungimento del Cratere che dà il titolo al film, un luogo quasi spirituale, tanto amato dai genitori (entrambi scomparsi) e apparentemente scrigno di un tesoro che suona le corde della memoria, dell’esperienza e del proprio lascito in quanto persone.
Ma il ragazzo, appena diventato orfano, è segnato da un destino ineluttabile: figlio di un operaio della colonia mineraria lunaria, si è guadagnato il diritto – per clausola contrattuale- di essere spedito direttamente su Omega, il paradiso utopico di tutte e tre le sfere colonizzate dall’umanità. Insieme alla Terra e alla Luna formano la triade della catena sociale ospitata da Crater, funzionalizzate nei primi due casi al raggiungimento dell’obiettivo ultimo: approdare sul pianeta idilliaco.

La Luna è l’unica casa che Caleb abbia mai conosciuto, cupola affettiva del suo gruppo di amici: Dylan (Billy Barratt), Borney (Orson Hong) e Marcus (Thomas Boyce).
Andare su Omega significa, prima di tutto, compiere un viaggio in sonno criogenico della durata di 75 anni; significa, più di tutto, lasciare indietro la propria vita e gli ultimi legami rimasti.
Tutto è imbandito per l’inizio dell’avventura: quattro ragazzi incoscienti e un nuovo innesto femminile (fondamentale per una crescita a tutto tondo) rubano un rover e scappano dalla colonia alla volta di un viaggio sotto una pioggia di meteoriti. La terrestre Addison (una convincentissima Mckenna Grace) si unisce al gruppo eccentrico di ragazzini sperduti. Tutti, compresa lei, accomunati da una percezione di diversità ancora da canalizzare in un vero e proprio senso di identità.

Il paradosso di uno sci-fi debole di world building

crater

L’impressione è che Crater ci provi a disseminare la storia di spunti interessanti, salvo poi impigrirsi nella stratificazione delle loro matrici. E alla fine quello manca, e non è insignificante, è un trasversale world building in cui potersi orientare con quella fiducia che vincola l’immersività dell’esperienza spettatoriale.
Le pieghe del divario sociale sono accennate in una critica esplicita al sistema: la Terra, oasi felice dal cielo azzurrissimo, è un ricordo opaco nel presente dei suoi abitanti, ormai robotizzati dal sogno di raggiungere Omega, casa elitaria dei più fortunati.

La Luna è l’illusione del passaggio intermedio, la fotografia di un’ambizione lasciata interrotta e il “purgatorio” dei suoi lavoratori: agli operai, che votano la loro vita all’estrazione dell’elio, viene promesso il golden ticket per Omega una volta compiuti i venti anni contrattuali. Poi, però, pullulano cavilli che li obbligano a prolungare il proprio tempo nella colonia, in nome di uno sfruttamento che spinge i padri a sacrificarsi per assicurare ai figli un futuro migliore.
È quello che è successo a Caleb, ma di più non ci è concesso sapere. Su i come e i perché della costituzione e regolamentazione dell’universo Crater non ci si sofferma ulteriormente, relegando a suggestioni tutto quello che è necessario conoscere.

E quindi ci si accontenta, bramosi di curiosità, di un racconto di formazione che poco di nuovo aggiunge a quanto già visto in precedenza. I valori sono quelli della famiglia, dell’amicizia, del coraggio e della ricerca di sé. Le vele spiegano al fruscio del motto che risuona costante per tutta la durata del film: diventare padroni del proprio destino. Quindi il percorso assume in sé la valenza dell’arrivo, il viaggio è ciò che si impara mentre lo si vive, con le persone con cui lo si condivide, nei ricordi che si cementificano e nel cambiamento che semina qualcosa di più grande.

Crater: una semplicità senza pretese

crater

Certo il paesaggio non è quello di un classico alla Stand by me, ammalia di originalità per l’eccezionalità di ambientazione. Con tanto di ludica gravità, fantasmi spaziali e sequenze sfarzose su quei “giochi della Luna” che fanno arrossire il nostro baseball.
Ma del film di Rob Reiner, Crater, non sfiora neanche l’introspezione. Il confronto con la morte, l’identità, la solitudine, la ribellione, la mutevolezza del tempo e l’inevitabilità del dolore si mescola fluido senza scavare in profondità, parlando un linguaggio semplice, a volte inzuccherato, ma probabilmente efficace per il pubblico cui si rivolge.
Al netto di un finale che sembra strizzare troppo l’occhio a Nolan, vestendosi a festa da Interstellar adolescenziale, Crater va accettato per quello che è: evasione e buoni sentimenti. E finchè non fa del male, va bene anche così.


Seguici su InstagramTikTokFacebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club

Laureata in Cinema e Comunicazione. Perennemente sedotta dalla necessità di espressione, comprensione e divulgazione di ogni forma comunicativa. Della realtà mi piace conoscere la mente, il modo in cui osserva e racconta le sue relazioni umane. Del cinema mi piace l’ascolto della sua sincerità, riflesso enfatico di tutte le menti che lo creano. Di entrambi coltivo l’empatia, la lente con cui vivere e crescere nelle sensibilità ed esperienze degli altri

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.