Proprio come annuncia il mercenario chiacchierone nei primi minuti del film, non c’è bisogno di presentazioni. Tutti sanno già cosa sia Deadpool & Wolverine e cosa aspettarsi da un titolo del genere. E infatti, sebbene il film sia stato avvolto dal mistero della segretezza in nome dell’hype prima della sua uscita, si sapeva già esattamente tutto quello che sarebbe successo: il ritorno di Hugh Jackman nei panni di Wolverine, 7 anni dopo la sua toccante dipartita con Logan (James Mangold, 2017); battutine di Deadpool su Fox e sulla sua acquisizione da parte di Disney; camei dal multiverso e una promessa, ripetuta come battuta fino alla nausea: Hugh è qui per restare.
Tutto in nome del sacrosanto fan service, l’eterna illusione di poter accontentare all’unanimità un pubblico di milioni, se non miliardi, di spettatori e spettatrici.
L’ostica referenzialità di Deadpool & Wolverine
Ma chi è esattamente il pubblico da accontentare? Per poter comprendere tutte le battute e gli accennati, seppur estremamente sottosviluppati, temi di Deadpool & Wolverine, e quindi apprezzare un’uscita al cinema e la visione del film, non si può far parte del pubblico generico.
Il termine fan service viene preso alla lettera: bisogna essere a conoscenza dei retroscena delle case di produzione, aver visto i primi film Marvel usciti a cavallo degli anni 2000, le filmografie dei due attori principali, bisogna avere confidenza con i volti di attori “fan favorite” per comprendere frecciatine e camei, e avere qualche conoscenza di base di alcuni fumetti, come sempre quando si tratta di film Marvel (anche se in questo caso non è strettamente necessario, poiché i personaggi e le dinamiche che si vedono sullo schermo non hanno niente a che fare con le loro controparti fumettistiche).
Essere a conoscenza di questa mole di informazioni però non è necessario alla trama, poiché si può benissimo comprendere Deadpool & Wolverine senza sapere tutto ciò. Il rischio però è che il pubblico generico si annoi, si confonda, non capisca perché i personaggi dicano certe cose, o addirittura chi siano effettivamente i personaggi presenti nel film.
Tutto Deadpool & Wolverine è un lungo e tediante omaggio autoreferenziale, non tanto ai personaggi in sé ma alla storia della Marvel cinematografica e alla sua eredità. Peccato però che questo apparente omaggionon celebri effettivamente il proprio passato, anzi rasenti il ridicolizzarlo, sminuendo volontariamente alcuni mostri sacri dell’universo Marvel con battutine e meta commentari (che ancora una volta vengono colti solo da un pugno di spettatori), millantando continuamente il fatto di dover “dare un degno finale” a dei personaggi più che fan favorites, eppure accontentandosi di fare il minimo indispensabile: un ingresso in pompa magna, qualche battuta, e una dipartita decisamente sottotono – e fuori tono – immeritata.
Deadpool & Wolverine, l’ineluttabile, eterno ritorno Marvel
Il ritorno di Jackman nel ruolo di Logan aka Wolverine rientra perfettamente nell’inconscia operazione di svalutazione che Deadpool & Wolverine attua sui suoi personaggi: dopo la magistrale uscita di scena in Logan, un film che attua un meta commentario molto più sottile e decisamente più riuscito rispetto alle battutine esplicite di Deadpool, e che tra l’altro lancia un messaggio potente sull’immaginario della simbiosi tra attore e ruolo, Jackman (o chi per lui) decide di ignorare il suo addio carico di significati al personaggio per potersi divertire e giocare facile in casa, circondato da colleghi amici e dall’appetibile parco giochi della famiglia Marvel estesa, per gentile concessione di Disney/Fox.
La primissima sequenza di Deadpool & Wolverine non potrebbe essere più esplicita: lancia un messaggio forte tanto quanto quello di Logan, contraddicendolo.
Se il messaggio del film di James Mangold è che la morte del supereroe è possibile, e anzi forse necessaria, quello di Ryan Reynolds è che invece la morte non è accettabile per l’universo Marvel (una lezione che gli studios di Kevin Feige hanno impartito numerose volte, rasentando il ridicolo ed esasperando certi fan). Non solo la morte, ma anche il rapporto attore-ruolo, o meglio attore-ruolo-fan (vedasi l’annuncio al Comic Con di San Diego di quest’estate, dove i Marvel Studios hanno annunciato il ritorno di Robert Downey Jr., non nel ruolo di Tony Stark/Iron Man, ma in quello del nuovo cattivone di turno, il Dottor Destino).
Deadpool & Wolverine si ostina a convincere il pubblico (e se stesso) che il (i) Wolverine che si vedono sullo schermo non è lo stesso che il pubblico ha conosciuto e amato negli anni, bensì un’altra sua versione alternativa. Ma è una logica fallace, sia perché continua a prendere come riferimento la caratterizzazione del Wolverine visto in Logan, sia perché vuole “ricompensare” il fan storico del personaggio filmico regalandogli i feticci dei fumetti, mai trasposti sul grande schermo per quasi 20 anni dalla prima apparizione.
E i motivi per cui questi feticci non erano mai stati scelti per la versione cinematografica sono comprensibili, visti i risultati di Deadpool & Wolverine: una tutina colorata e una maschera comic accurate non rendono giustizia all’eredità che Jackman ha portato al suo personaggio, anzi lo rendono la pallida ombra di quello che è stato.
Sebbene sia un altro Wolverine, il fatto stesso che sia sempre Hugh Jackman a rappresentarlo lo rende irrimediabilmente, nell’immaginario collettivo, sempre il medesimo personaggio, viste le continue battute meta e i rimandi al vissuto dell’attore, del personaggio e soprattutto del rapporto che tutto ciò ha coi fan. È uscita recentemente la notizia che il cameo di Downey Jr. nei panni di Iron Man, su cui si scherza in una battuta del film, era stato seriamente preso in considerazione: questo la dice lunga su quanto la Marvel valorizzi la potenza delle sue icone, e ironicamente ha riconfermato la sconsacrazione della morte del personaggio nel suddetto annuncio al ComiCon.
Lo scudo d’ironia di Deadpool & Wolverine
L’eterna promessa del Multiverso Marvel, che viene tramandata ormai da anni (almeno dal 2019), si rivela l’ennesima illusione e uno spreco di potenzialità enorme per una casa di produzione che, con il suo catalogo di personaggi e la sua storia filmica, giocherebbe facilmente in casa. Ormai è abbastanza accettato che i Marvel Studios stiano vivendo un momento di crisi: dopo il climax di Avengers: Endgame, Feige & co. avevano optato per una direzione più semplice, abbandonando la stretta continuity per concentrarsi su storie contenute e personaggi inediti, cambiando coraggiosamente anche stili ed estetiche, nei film e negli esperimenti sulle serie streaming su Disney+.
Queste scelte però non sono state apprezzate dai fan, il che ha spronato la Marvel a cambiare improvvisamente corso d’opera, cancellando sequel (quelli di Shang-Chi ed Eternals) e inserendo a forza il tema del multiverso in quasi ogni singolo prodotto uscito dopo i primi flop, anche in quelli che non affrontano necessariamente questa tematica. La scelta di reintrodurre Jackman/Wolverine non in un film serio e dedicato, ma come co-protagonista in quella che è sostanzialmente una commedia glorificata, si rivela l’ennesima scelta svilente della nuova direzione Marvel.
Deadpool & Wolverine sembra, più che un film, un gigantesco atto di masturbazione, da parte degli attori, degli sceneggiatori e soprattutto della Marvel stessa, che usa il sarcasmo e l’umorismo pungente metanarrativo di Deadpool per autocriticarsi, apparentemente, quando invece lo usa come scudo per giustificarsi nelle sue scelte, pigre e autoreferenziali, fini a se stesse.
Nulla di nuovo, insomma, visto che questa tattica è stata già utilizzata negli scorsi due capitoli di Deadpool, di cui Deadpool & Wolverine, nonostante le dispersioni narrative e di personaggi, è effettivamente un diretto seguito. Sotto questo aspetto, come sempre, la Marvel cerca di catturare più piccioni possibili con una fava, impacchettando un prodotto che funge da sequel, da spartiacque per i prossimi film/eventi Marvel, da ritorno in pompa magna di Jackman nel ruolo di Wolverine (in cui ormai verrà inevitabilmente svalorizzato come una vacca munta da morta), e da un vuoto gioco autoreferenziale, che si professa molto più approfondito, leggero e interessante di quanto sia in realtà.
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