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Fremont

Fremont, ritratto ironico e melanconico di una rifugiata

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7 minuti di lettura

Ogni tanto succede che artisti molto lontani tra loro, geograficamente e culturalmente, uniscano i talenti per realizzare un’opera unica e singolare. È il caso di Fremont, diretto dal regista iraniano Babak Jalali e co-sceneggiato assieme a Carolina Cavalli, regista italiana che si è fatta notare col suo Amanda nel 2022. Il risultato è un film sensibile, delicato, pervaso da un’ironia sottile e una malinconia acuta, complici anche la presenza del comico Gregg Turkington e delle melodie di Vashti Bunyan.

Dopo aver debuttato al Sundance Film Festival a inizio 2023, Fremont ha debuttato in Italia alla Festa del Cinema di Roma in ottobre, ed esce finalmente nelle sale, distribuito da Wanted, il 27 Giugno.

Tra omaggi e inganni

Frame tratto dal film Fremont con Anaita Wali Zada

Jalali e Cavalli stabiliscono il tono di Fremont nei primissimi minuti, ispirandosi di comune accordo ad Aki Kaurismaki e a “quella sua ironia malinconica“: il lavoro anonimo e ripetitivo nella piccola fabbrica di biscotti della fortuna, lo sguardo assente di Donya, la protagonista, una melodia minimalista che ricorda le tonalità della musica islamica, e una breve conversazione mondana tra Donya e Joanna, collega e unica amica della protagonista. In questo breve arco di tempo è già racchiusa tutta la poetica del film, la sua leggerezza e la sua eleganza.

La scelta del bianco e nero e la formalità delle inquadrature, fisse e ordinate, dona a Fremont un tocco familiare, che al tempo stesso omaggia e sovverte, come anche l’utilizzo di attori non professionisti: il film ricorre spesso a primi piani che regalano espressioni spontanee, a inquadrature che catturano interpretazioni non convenzionali, inconsuete, affascinanti da vedere, in una sorta di ricreazione neorealista che allo stesso tempo però naviga contro gli stilemi del neorealismo.

Un po’ come C’è ancora domani di Cortellesi, che vuole ricalcare i passi del grande neorealismo italiano, ma allo stesso tempo lo contraddice, usando canzoni contemporanee e inserendo coreografie e scene corali che spezzano le regole ferree del movimento cinematografico. In maniera simile, Fremont sembra ispirarsi a quel modo di fare cinema, ma non rifugge da qualche scappatella contemporanea, come quello sguardo in camera che, proprio come la scena “di ballo” di C’è ancora domani, rompe temporaneamente l’inganno filmico, per poi proseguire con la narrazione.

L’umorismo e la tristezza in Fremont

Frame tratto dal film Fremont con Gregg Turkington

Pur essendo drammatico, Fremont ha una forte componente ironica, che pervade tutto il film. Un’ironia sottile e laconica, sottintesa nei silenzi e negli sguardi. Non è un caso che il Dr. Anthony, lo psicoterapeuta di Donya, sia interpretato da uno dei maestri americani del deadpan humor, Gregg Turkington, il cui volto impassibile esprime quell’impacciamento e quella schiettezza che ben si sposa con l’inespressività di Donya, anch’essa schietta e diretta.

Ma sotto l’ironia dei personaggi si cela una forte tristezza: i vicini afghani, perseguitati dai fantasmi e dai ricordi di casa, l’amica Joanna, un’anima alla ricerca di compagnia e di amore nella landa desolata di Fremont, e lo stesso Dr. Anthony, che col passare del tempo rivela un lato molto sensibile e toccante, e un’empatia essenziale che aiuterà Donya a conoscersi e a fare dei grandi passi. La tristezza e la solitudine sono i temi che permeano Fremont, sia il film sia il posto che racconta.

Ad accompagnare questo senso di malinconia c’è il leitmotiv Diamond Day, brano del 1970 della cantautrice folk Vashti Bunyan, il cui distinto stile musicale nostalgico e struggente fa sognare a Joanna e Donya una vita diversa da quella che stanno vivendo. In Donya risiede la disperata ricerca di rivalsa e di amore: infatti sarà l’unica a riuscire a raggiungere i propri obiettivi, ad essere artefice del proprio destino, quando si avvererà inavvertitamente l’augurio di un suo stesso biglietto da fortune cookie: “la fortuna che cerchi è in un altro biscotto” [curiosamente, questa stessa frase dà il titolo a un esordio italiano che abbiamo recensito e merita un po’ d’attenzione, ndr.]

La delicatezza di Fremont

Frame tratto dal film Fremont con Jeremy Allen White

Fremont è una piccola chicca, contenuta e bizzarra, figlia di diverse sensibilità, quella di Jalali e Cavalli, unificate da un’unica visione, quella che omaggia il neorealismo e Kaurismaki. Ma soprattutto, i due autori raccontano un tema estremamente pesante – che è stato trattato in mille salse negli ultimi anni da film e serie tv americane, in maniera spesso dozzinale e ridondante – con una delicatezza e una sensibilità inedite: lo stress post-traumatico qui non predomina il film, seppur sovrasti invece Donja. Non viene demonizzato come un male incurabile e senza speranza, anzi viene raccontato attraverso una storia molto umana.

Fremont è sostanzialmente un conciso character study femminile, una storia di formazione tardiva, così come lo è stato Amanda: racconti di crescita e di scoperta di se stesse, ma anche di ricerca di contatto con gli altri, di fuoriuscita dal proprio guscio, di scoperta del mondo. Il senso di appartenenza di Donja è scisso in due, tra il passato doloroso in Afghanistan e il futuro incerto in California. L’incontro inaspettato con Daniel, interpretato dal sempre più in voga Jeremy Allen White, qui in veste di un nostalgico meccanico, sarà l’evento che la convincerà a vivere nel presente, grazie al percorso intrapreso col Dr. Anthony e ai consigli di Joanna.

Un film semplice e tenero, Fremont parla dei numerosi temi presenti senza enfasi e sottolineature, dipingendo un ritratto ironico, melanconico e umano.


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Nato a Roma, studia attualmente al DAMS di Padova.
Vive in un mondo fatto di film, libri e fumetti, e da sempre assimila tutto quello che riesce da questi meravigliosi media.
Apprezza l'MCU e anche Martin Scorsese.

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