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Death of a Unicorn, la satira senza mordente di A24

Death of a Unicorn, la satira senza mordente di A24

6 minuti di lettura

Disponibile nelle sale italiane dal 10 aprile, Death of a Unicorn è l’esordio dietro la macchina da presa di Alex Scharfman. Il film vanta un cast d’eccezione, composto su tutti da Paul Rudd, Jenna Ortega, Téa Leoni, Will Poulter e Richard E. Grant. Prodotto da A24, Death of a Unicorn è una satira politica estremamente attuale, una commedia orrorifica e anche un horror più classico dalle tinte gore, ma la sensazione è che, all’interno di una filmografia comunque incline a una certa singolarità, quello di Scharfman sia piuttosto un confusionario pastiche dalle grandi ambizioni.

Death of a Unicorn: crepi l’avarizia

Durante un viaggio verso la residenza dell’eccentrico magnate Odell Leopold, Elliot Kintner e la figlia adolescente Ridley si imbattono in qualcosa di assolutamente inaspettato, investendo accidentalmente un giovane unicorno. Ridley, incuriosita dalla creatura mitologica, ne tocca il corno e viene immediatamente colpita da una visione cosmica surreale, mentre Elliot, ancora scosso, finisce l’animale a colpi di cric, nascondendo il corpo nel bagagliaio e portandolo con sé alla tenuta.

Una volta arrivati, iniziano però a manifestarsi strani effetti, e i Kintner comprendono che il sangue dell’unicorno potrebbe avere proprietà miracolose. Non passa molto tempo però prima che la scoperta venga notata anche dai Leopold, e Odell, malato di cancro e ormai sul punto di morire, decide di affidare la creatura a un gruppo di scienziati, per sfruttarne completamente le potenzialità.

Jenna Ortega in un'immagine di Death of a Unicorn

I ricercatori riusciranno effettivamente a isolare una sostanza dal corno in grado di curare il magnate, e i Leopold vedranno in tutto ciò l’ennesima possibilità di arricchirsi ulteriormente, scatenando un’escalation di avidità e manipolazione scientifica. Mentre il confine tra salvezza e ossessione si assottiglierà sempre di più, gli ospiti della tenuta saranno costretti a fare i conti con il fatto che gli unicorni non sono propriamente le docili creature dell’immaginario collettivo, ma bestie indomite e feroci. Inizierà così una caccia implacabile e brutale, in cui i protagonisti si troveranno a fronteggiare la vendetta soprannaturale di un mondo magico infranto dall’egoismo umano.

Una satira specchio della società

Nel suo continuo alternarsi di generi, sempre piuttosto claudicante e mai veramente incisivo, Death of a Unicorn unisce commedia, horror e sentimentalismo un po’ spicciolo dei film sui legami familiari, in quella che però, più di ogni altra cosa, ha evidentemente l’ambizione di essere una satira sociale e politica. D’altronde quale momento storico migliore per scagliarsi contro l’ipocrisia della ricchezza? L’attualità, infatti, ci mette di fronte a un mondo dominato – purtroppo non metaforicamente – da quei moderni super ricchi, deliranti e narcisisti, di cui Alex Scharfman dipinge tuttavia un ritratto già visto. La sua critica difatti è più visiva che concettuale, fatta di una satira tanto crudele nelle immagini quanto superficiale nell’idea.

I Leopold vengono uccisi nei modi più atroci, sviscerati e dilaniati da quelle creature che avrebbero voluto sfruttare, in una sorta di pena per contrappasso, ma a parte questo la satira di Scharfman non apporta niente di realmente innovativo a nessuno dei generi che tocca durante la sua narrazione. In Death of a Unicorn si intravede un’eterna indecisione, man mano sempre più evidente, frutto di cambi di direzione improvvisi e frustranti, che minano la coerenza del film, tradiscono le premesse e portano irrimediabilmente lo spettatore a mettere in secondo piano quelli che, a discapito di tutto, sono gli aspetti che funzionano.

Il cast di Death of a Unicorn

Sì, perché qualcosa di intrigante c’è in Death of a Unicorn, a partire dalla caratterizzazione di alcuni personaggi. Lo Shepard di Will Poulter è sicuramente il più interessante tra i Leopold, l’unico che riesce in qualche modo a tirarsi fuori dai più banali stereotipi, nonché fulcro, con le proprie contraddizioni, della comicità del film, che sebbene non risulti particolarmente brillante, riesce comunque a strappare qualche sorriso. Così come Griff, maggiordomo interpretato da Anthony Carrigan e personaggio assolutamente più centrato di Death of a Unicorn, inspiegabilmente messo da parte sul finale (sebbene il suo arco narrativo sia comunque il più coerente). 

E mentre la Ridley di Jenna Ortega è forse la delusione più grande della pellicola, è molto interessante invece la caratterizzazione di Elliott, perché rappresenta lo specchio della società, un uomo pronto a prostrarsi di fronte alla ricchezza, per riceverne una minima parte. È qui, in questa inettitudine dell’uomo, non soltanto incapace, ma indifferente alla rivoluzione, che si nasconde il messaggio, questo sì veramente efficace, di Death of a Unicorn.


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Sono Filippo, ho 22 anni e la mia passione per il cinema inizia in tenera età, quando divorando le videocassette de Il Re Leone, Jurassic Park e Spider-Man 2, ho compreso quanto quelle immagini che scorrevano sullo schermo, sapessero scaldarmi il cuore, donandomi, in termini di emozioni, qualcosa che pensavo fosse irraggiungibile. Si dice che le prime volte siano indimenticabili. La mia al Festival di Venezia lo è stata sicuramente, perché è da quel momento che, finalmente, mi sento vivo.

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