Disponibile nelle sale italiane dal 10 aprile, Death of a Unicorn è l’esordio dietro la macchina da presa di Alex Scharfman. Il film vanta un cast d’eccezione, composto su tutti da Paul Rudd, Jenna Ortega, Téa Leoni, Will Poulter e Richard E. Grant. Prodotto da A24, Death of a Unicorn è una satira politica estremamente attuale, una commedia orrorifica e anche un horror più classico dalle tinte gore, ma la sensazione è che, all’interno di una filmografia comunque incline a una certa singolarità, quello di Scharfman sia piuttosto un confusionario pastiche dalle grandi ambizioni.
Death of a Unicorn: crepi l’avarizia
Durante un viaggio verso la residenza dell’eccentrico magnate Odell Leopold, Elliot Kintner e la figlia adolescente Ridley si imbattono in qualcosa di assolutamente inaspettato, investendo accidentalmente un giovane unicorno. Ridley, incuriosita dalla creatura mitologica, ne tocca il corno e viene immediatamente colpita da una visione cosmica surreale, mentre Elliot, ancora scosso, finisce l’animale a colpi di cric, nascondendo il corpo nel bagagliaio e portandolo con sé alla tenuta.
Una volta arrivati, iniziano però a manifestarsi strani effetti, e i Kintner comprendono che il sangue dell’unicorno potrebbe avere proprietà miracolose. Non passa molto tempo però prima che la scoperta venga notata anche dai Leopold, e Odell, malato di cancro e ormai sul punto di morire, decide di affidare la creatura a un gruppo di scienziati, per sfruttarne completamente le potenzialità.
I ricercatori riusciranno effettivamente a isolare una sostanza dal corno in grado di curare il magnate, e i Leopold vedranno in tutto ciò l’ennesima possibilità di arricchirsi ulteriormente, scatenando un’escalation di avidità e manipolazione scientifica. Mentre il confine tra salvezza e ossessione si assottiglierà sempre di più, gli ospiti della tenuta saranno costretti a fare i conti con il fatto che gli unicorni non sono propriamente le docili creature dell’immaginario collettivo, ma bestie indomite e feroci. Inizierà così una caccia implacabile e brutale, in cui i protagonisti si troveranno a fronteggiare la vendetta soprannaturale di un mondo magico infranto dall’egoismo umano.
Una satira specchio della società
Nel suo continuo alternarsi di generi, sempre piuttosto claudicante e mai veramente incisivo, Death of a Unicorn unisce commedia, horror e sentimentalismo un po’ spicciolo dei film sui legami familiari, in quella che però, più di ogni altra cosa, ha evidentemente l’ambizione di essere una satira sociale e politica. D’altronde quale momento storico migliore per scagliarsi contro l’ipocrisia della ricchezza? L’attualità, infatti, ci mette di fronte a un mondo dominato – purtroppo non metaforicamente – da quei moderni super ricchi, deliranti e narcisisti, di cui Alex Scharfman dipinge tuttavia un ritratto già visto. La sua critica difatti è più visiva che concettuale, fatta di una satira tanto crudele nelle immagini quanto superficiale nell’idea.
I Leopold vengono uccisi nei modi più atroci, sviscerati e dilaniati da quelle creature che avrebbero voluto sfruttare, in una sorta di pena per contrappasso, ma a parte questo la satira di Scharfman non apporta niente di realmente innovativo a nessuno dei generi che tocca durante la sua narrazione. In Death of a Unicorn si intravede un’eterna indecisione, man mano sempre più evidente, frutto di cambi di direzione improvvisi e frustranti, che minano la coerenza del film, tradiscono le premesse e portano irrimediabilmente lo spettatore a mettere in secondo piano quelli che, a discapito di tutto, sono gli aspetti che funzionano.
Sì, perché qualcosa di intrigante c’è in Death of a Unicorn, a partire dalla caratterizzazione di alcuni personaggi. Lo Shepard di Will Poulter è sicuramente il più interessante tra i Leopold, l’unico che riesce in qualche modo a tirarsi fuori dai più banali stereotipi, nonché fulcro, con le proprie contraddizioni, della comicità del film, che sebbene non risulti particolarmente brillante, riesce comunque a strappare qualche sorriso. Così come Griff, maggiordomo interpretato da Anthony Carrigan e personaggio assolutamente più centrato di Death of a Unicorn, inspiegabilmente messo da parte sul finale (sebbene il suo arco narrativo sia comunque il più coerente).
E mentre la Ridley di Jenna Ortega è forse la delusione più grande della pellicola, è molto interessante invece la caratterizzazione di Elliott, perché rappresenta lo specchio della società, un uomo pronto a prostrarsi di fronte alla ricchezza, per riceverne una minima parte. È qui, in questa inettitudine dell’uomo, non soltanto incapace, ma indifferente alla rivoluzione, che si nasconde il messaggio, questo sì veramente efficace, di Death of a Unicorn.
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