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die theorie von allem

Venezia 80 – Die Theorie Von Allem, l’allucinazione del Festival

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4 minuti di lettura

A pochi giorni di distanza dall’uscita italiana di Oppenheimer, qui a Venezia è ancora questione di fisica. Questa volta la voce registica è tedesca, la dimensione è mentale e l’allucinazione di Die Theorie Von Allem grida nuovamente al motto del “Sono diventato morte, distruttore di mondi”. Timm Kröger porta al concorso del Festival un film ossessivo, sofisticato nel tono e derivativo nell’aspetto

E la trama?

Die Theorie Von Allem

Tentare di riesumare la trama di Die Theorie Von Allem non è cosa facile, preso com’è nel suo vortice indistricabile di multiversi e realtà parallele.

Nel 1962 Johaness Leinert (Jan Bülow) si reca insieme al suo supervisore di dottorato a un convegno sulle Alpi Svizzere, presso un Hotel incastonato tra montagne e neve fitta. A quel convegno, un presunto scienziato iraniano invita i suoi colleghi con la promessa di svelare un’importante rivoluzione in campo di meccanica quantistica. Ma poi all’evento non si presenterà mai, innescando il primo di una serie di sinistri accadimenti. Sparizioni, morti e una scia di inspiegabili eventi si incagliano in una regia che si prende molto sul serio, ma a volte si dimentica di appoggiarsi alla sua scrittura.

Tra le strane formazioni di nuvole in cielo e gli inquietanti e misteriosi moti che vibrano sotto le montagne, Johannes ha il tempo di incontrare Karin (Olivia Ross): una sfuggente ed affascinante donna che sembra conoscerlo da un passato immemore, facendosi icona e corporeità dell’anomalia che avvolgerà il giovane dentro a una stretta sempre più soffocante. Una storia d’amore impossibile, dentro un impianto dalle tinte surrealiste, espressioniste, tensive e impenetrabili.

Die Theorie Von Allem usa tutti i giusti ingredienti per impastare una storia avvincente, e se nella creazione dell’intrigo si dimostra abile, ugualmente corre il rischio di bruciare la sua struttura, sovra-condendola di eccessi e sacrificando sottigliezza e originalità a favore di un ridondante citazionismo.

Die Theorie Von Allem, derivativo, complesso e coraggioso

Die Theorie Von Allem

C’è un po’ di tutto in Die Theorie Von Allem; c’è Welles, Lynch, Hitchcock e l’auspicata consapevolezza di non poter fornire nessuna risoluzione. Che le vicende siano avvinghiate a un brandello di realismo o siano frutto di una psicosi è questione di impossibile scissione, non ci si arriverà mai. Nonostante il film tenti di riprendere controllo sul finale, servendo uno spiegone che prova a mettere ordine nella follia ipnotica vissuta da Johannes e subita dallo spettatore. Ci si accontenterebbe – con piacere – della sua indecifrabilità, se il racconto non eccedesse nel diluirsi e non si attorcigliasse nelle proprie complessità.

Die Theorie Von Allem è suggestioni, citazioni e riscritture. Si accentra intorno a un quesito noto e irrisolvibile, tutto inghiottito dall’inattuabile scelta fra due realtà. Quella ancorata al proprio corpo e alla propria identità e quella sommersa in un escapismo ancora speranzoso di trovare pacificazione nell’unica fonte di salvezza da una vita vuota e incomprensibile: l’amore. O la sua follia.

Dove stia il vero non si saprà mai, e questa è indubbiamente la scommessa più riuscita del film. Timm Kröger dà prova di talento nella sua gara al concorso del Festival, ma mette in piedi un’opera pretenziosa, che di certo non convincerà tutti.


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Laureata in Cinema e Comunicazione. Perennemente sedotta dalla necessità di espressione, comprensione e divulgazione di ogni forma comunicativa. Della realtà mi piace conoscere la mente, il modo in cui osserva e racconta le sue relazioni umane. Del cinema mi piace l’ascolto della sua sincerità, riflesso enfatico di tutte le menti che lo creano. Di entrambi coltivo l’empatia, la lente con cui vivere e crescere nelle sensibilità ed esperienze degli altri

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