Primo piano di Bela Lugosi in Dracula di Tod Browning

Brividi d’autore, Dracula, un valzer secolare di mostri e ombre

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Castelli avvolti nella nebbia, strade deserte, notturni mortiferi dove non rimane nulla di umano che si muove, ma solo creature affascinanti e ripugnanti, bestie sotterranee che emergono per corrodere con le loro piccole fauci le fondamenta di un’umanità ossessionata dalla contaminazione. La figura del vampiro – come quello per antonomasia, il conte Dracula – è uno dei concentrati più riusciti di tutte le paure e i desideri segreti degli esseri umani in quanto creatura che trascende ogni nozione di vita e di morte, spettro di carne morta che si nutre di carne viva, risposta orrorifica a ogni domanda sull’esistenza di un’aldilà.

Non-morto tra i vivi, rabbioso e implacabile succhiatore di sangue per il folclore, carismatico e seducente gentiluomo che placa la sua sete affondando i canini sul collo virginale di nobili fanciulle vittoriane per la letteratura gotica: quest’ultima rappresentazione è quella che è rimasta impressa nell’immaginario collettivo, dal Dracula di Stoker in poi. E la trasposizione cinematografica di Dracula realizzata da Tod Browning nel 1931 ha giocato un ruolo fondamentale in questo processo di definizione della figura dell’affascinante e letale Conte.

Dracula e Nosferatu, vampiri legittimi e illegittimi

Dracula si avvicina a Mina mentre dorme in una scena di Dracula di Tod Browning

Se il Nosferatu di Murnau è una creatura animalesca dalle sembianze visibilmente inumane che si muove tra i silenzi del cinema muto e le ombre dell’Espressionismo tedesco e i cavilli legali del diritto d’autore, il vampiro di Browning afferma a gran voce la sua discendenza letteraria, forte del suo essere la versione legittima, autorizzata, ufficiale.

Dal Conte Orlok, essere notturno nato tra le pieghe oscure del cinematografo, figlio rinnegato dalla stessa letteratura che lo ha generato, si prosegue tornando al carismatico e aristocratico Conte Dracula, al suo portamento fintamente compassato e ai modi da gentiluomo d’altri tempi. Mentre la figura del vampiro ha iniziato a infestare il cinema nei panni del clandestino Nosferatu, il Dracula di Stoker non ha ancora una raffigurazione cinematografica ufficiale: sarà Tod Browning a dargli un volto, quello di Bela Lugosi, a plasmare l’immagine di un archetipo destinata a caratterizzare in maniera indelebile l’immaginario vampiresco.

Il Dracula di Browning attinge a piene mani dalla tradizione teatrale e dalla letteratura gotica confezionando un prodotto costruito su tempi e impostazioni teatrali, fatto di non detti e omissioni che nascondono dagli occhi vigili della censura i canini del vampiro, il sangue delle vittime e tutti gli aspetti più viscerali che soggiaciono alla metafora del vampirismo. Ma nonostante ciò, la presenza magnetica di Lugosi è sufficiente per veicolare tutto il complesso apparato di inquietudini e di pulsioni del Conte Dracula: il sinistro luccichio degli occhi dell’attore ungherese sono sufficienti a far emergere dall’oscurità cinematografica la leggendaria creatura della notte evocandone il fascino e la voracità.

Un racconto conturbante di non detti e zone oscure

Dracula e Mina in una scena di Dracula di Tod Browning

Tutto quello che non viene mostrato viene affidato alla presenza ipnotica di Lugosi e a tutti gli ambienti che lo circondano e lo rispecchiano: tra le prime sequenze di Dracula quelle che rimangono più impresse sono quelle dove l’imponente castello in Transilvania diventa per un attimo il vero protagonista in quanto soggetto visivamente enunciante e veicolo di significati.

Spazi maestosi quanto desolati, segnati dal tempo che passa: l’ingresso del castello del Conte è un luogo abbandonato dove la vita umana è solo di passaggio, spazio liminale dove le vittime della creatura assetata di sangue umano traghettano inconsapevoli verso un destino indescrivibile e inimmaginabile.

La morte per mano del vampiro, il passaggio al regno dei dannati, al limbo dei non-morti, infatti non viene mai rappresentato in maniera esplicita ma rimane un terrificante sottointeso che trae la sua forza ammonitrice dal suo negarsi all’immagine. Anche i due fori lasciati sul collo delle vittime non vengono mai mostrati, ma solo enunciati: l’inspiegabile e il perturbante vengono filtrati attraverso il vocabolario scientifico e religioso, sterilizzati con i bisturi e i crocefissi.

Ma la forza inumana, mostruosa incarnata dal vampiro è destinata a manifestarsi e a infrangere i codici umani e sociali: in Dracula emerge attraverso il mondo animale che sembra essere l’unico ad avere diritto di cittadinanza nella magione del mostro. Pipistrelli, ragni, opossum e armadilli che si aggirano indisturbati tra l’oscurità e la nebbia, impermeabili al terrore che pervade i contadini del villaggio ai piedi del castello, in comunione con la morte e con l’ignoto.

Animali fuori posto, creature macabre e inconsapevoli che scavano tra la polvere e le tombe alla ricerca di carne da mettere sotto i denti, mosse solo dall’impulso, dalla fame. Prede e cacciatori, un ciclo vitale che Dracula oltrepassa e divora, cancellando il rassicurante confine tra l’umano e il non umano.


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Classe 1999, una delle tante fuorisede in terra sabauda. Riguardo periodicamente "Matrimonio all'italiana" e il mio cuore è diviso tra Godard e Varda. Studio al CAM e scrivo frammenti sparsi in giro per il mondo.

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