Fair Play è un film del 2023 diretto da Cloe Domont, presentato al Sundance Film Fest e poi pubblicato su Netflix il 6 ottobre. Il film è un thriller erotico con sfondo l’alta finanza e vede come protagonisti Alden Ehrenreich (Solo) e Phoebe Dynevor (Bridgerton). Un film che ragiona sul potere maschile nel luogo di lavoro, e ne trae conclusioni particolari. Un film che poi riafferma la voglia di Netflix di produrre film di impegno sociale, concentrando l’attenzione su due star per costruirgli una pellicola intorno, come fu con The Good Nurse.
La storia di Fair play
New York. Emily e Luke sono due ragazzi nel fiore degli anni, pronti a mordere la vita. Lavorano nello stesso fondo di investimento e vivono insieme, nonostante le regole del loro ufficio vietino rapporti intimi tra colleghi. Il film inizia con la proposta di matrimonio di Luke a Emily, che nonostante la contentezza ragiona sulla difficoltà di portare avanti questa relazione ancora segreta a lavoro. Tra stress lavorativo e invidie, il film ci porta all’interno di un rapporto amoroso distorto dalla carriera e non solo.
Fair play ingrana infatti quando Emily viene promossa a lavoro, scatenando invide e sospetti di Luke. Temi principali del film sono l’ossessione lavorativa, lo stress che questo porta, il lavoro vissuto come gara al massacro. Il tutto letto in un’ottica femminista, che punta a trasmettere le differenze di trattamento tra uomo e donna e i preconcetti che tutti abbiamo in questo ambito.
Un luogo di superomismo, quello dell’alta finanza, che il film dipinge come un inferno fatto di soldi e machismo, droga e spietatezza. Il film si concentra molto sui due personaggi protagonisti, abbozzando i comprimari, tra cui spicca il Campbell di Eddie Marson, il capo del fondo di investimento in cui i due protagonisti lavorano. La regista Cloe Domont chiude il film in poche stanze. La casa di Emily e Luke, l’ufficio e qualche bar in cui sono concentrate alcune scene.
A fare da collante in questo film sono anche le scene di sesso, che però vengono vissute dallo spettatore in modo sempre diverso. Mentre all’inizio del film l’atmosfera è spensierata e felice, andando avanti, con l’inserimento di non detti, segreti e invide, le scene di sesso iniziano a essere fastidiose, fino alla scena clou che avvia il film verso la conclusione.
Di erotico non c’è niente in questo film. L’erotismo è smorzato dalla tenzione crescente. L’intento è semmai quello di portare allo scoperto preconcetti e comportamenti maschili insiti nella nostra società, fatti di controllo e violenza subdola. Ehrenreich e Dynevor reggono la scena praticamente da soli, complice una regia che li risalta, tralasciando belle inquadrature e movimenti ricercati. Ehrenreich è perfetto nel rappresentare l’ossessione nei piccoli gesti senza mai rendere macchiettistica la sua interpretazione e Dynevor riesce a catturare sguardi e attenzione, mostrando un’ampia gamma di emozioni.
Una rivincita di rabbia
Fair play si conclude con una rivincita e una scena di liberazione, che però lo spettatore vive in maniera poco serena. La pellicola riesce quindi nell’intento di restituire ansia e disgusto. Riesce meno nella costruzione di una trama scorrevole, cadendo spesso in alcuni cliché narrativi, funzionali però a creare le emozioni contrastanti che il film rilascia. Il risultato è comunque un film poco digeribile, che si riprende nelle ultime battute, e che utilizza l’alta finanza solo come pretesto e contesto.
Una pellicola che quindi fa dei temi importanti e dello svolgimento la sua forza, nonostante la povertà grafica e la basicità di fotografia e scenografia. Una storia contro l’ossessione per il lavoro e la maschilizzazione del potere, che trova la sua più alta immagine in una conclusione netta e azzardata, di rabbia e liberazione, di vendetta e contrasti.
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