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Game of The Year, il documentario sull’odissea del gaming

7 minuti di lettura

Il documentario d’osservazione si prefigge lo scopo della descrizione di un mondo o di un soggetto satellite e attaccato profondamente a quel mondo. In un mondo di storie programmate secondo le stesse logiche economiche o crismi e paradigmi narrativi a volte prevedibili e banali, il documentarista cerca la “storia” particolare che da un punto di vista sociale: basti pensare che la maggior parte dei reporter o documentaristi arrivano da studi di antropologia e giornalismo e cercano soggetti compiendo un viaggio in profondità a stretto contatto con la realtà o le realtà con la R maiuscola.

Fedele a questa poetica, Alessandro Redaelli decide di raccontare un territorio inesplorato e poco considerato nel panorama cinematografico ovvero il mondo del gaming. Game of the year, uscito a giugno 2021 e prodotto da Withstand Film, osserva un’industria che fattura tre volte più del cinema. Un mondo nel quale gravitano un numero spropositato di persone e nel quale molti ripongono le speranze di un futuro guadagno stabile giocando alla console o sviluppando il gioco che li faccia partecipare a più fiere possibile.

I dolori del giovane gamer e le piccole vittorie quotidiane

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Per Game of the Year, Alessandro Redaelli ha raccolto ore di testimonianze e materiale scegliendo accuratamente gli attori del suo reportage, cogliendo i cambi di carattere e l’evoluzione delle carriere dei personaggi che girano fiere nazionali e vivono attaccati allo schermo.

C’è un affetto verso il soggetto che si manifesta anche nella scelta della struttura a capitoli, chiamati con titoli di grandi classici videoludici. Seguiamo sette persone, che in Game of the Year ci mostrano senza filtri la loro quotidianità.

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Un esempio lampante è la storia di Simone, pro-player nello sparatutto Tom Clancy’s Rainbow Siege, che nella vita di tutti i giorni si allena e cerca un guadagno extra con vari lavori e si troverà ad un bivio in cui decidere se continuare la carriera negli e-sport o cominciare una nuova vita.

Al contrario, alcuni hanno un forte appoggia dalla famiglia, che sostiene con interesse e curiosità la nuova disciplina : è il caso del giovane campione di Starcraft 2, Riccardo – in arte Reynor – che partecipa alla finale in Ucraina vincendo contro il campione incontrastato Serral, diventando così un astro nascente del gaming italiano.

Poi ci sono Mattia e Alena, due twitcher che uniscono le forze e i rispettivi manager per una maratona che possa portargli più pubblico possibile, entrambi con diverse aspirazioni e passioni che portano parallelamente avanti con la carriera da gamer.

La sceneggiatura di Daniele Fagone e Ruggero Melis mette in ordine queste storie e evidenzia la caratteristica principale dei suoi personaggi: la voglia di rinnovarsi ogni giorno portando un nuovo tipo di contenuto per i loro follower e risaltandone le loro ambizioni, senza dargli un taglio inutilmente epico ma regalandoci la naturalezza dei loro comportamenti dubbiosi e delle loro vittorie quotidiane.

Le menti e le braccia dietro il videogioco: cronisti e artisti

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In Game of the Year non mancano le eminenze del gaming, presenti sia su Youtube e Twitch, come Michele Poggi e Francesco Miceli meglio conosciuti come Sabaku no Maiku e Fraws, che raccontano gli inizi della loro carriera e il rapporto con i fan durante il tempo. Entrambi mostrano una dedizione e un amore incondizionato verso i videogiochi studiandone la lore e gli aspetti tecnici per arricchire i loro contenuti per il pubblico.

Nell’ambiente della fiera o nell’evento si possono incontrare anche gli sviluppatori di videogiochi ovvero sceneggiatori, art director e game designer che nella scena indie cercano di girare più convention possibili e di creare nuovi titoli: spesso partecipano a masterclass in scuole di Computer Grafica e Game Design per far provare le versioni di prova dei loro giochi.

In questo caso Game of the year sceglie attraverso una serie di campi e controcampi di far dialogare a distanza il collettivo Kibou e il duo artistico Yonder, sottolineandone le differenze di produzione e idea dietro i loro prodotti: i primi cercano di partecipare a fiere più prestigiose per completare e testare il loro gioco horror mentre i secondi tentano di esporre e produrre progetti basati su temi complessi quali il capitalismo, l’identità e la relazione di coppia.

Game Of The Year, un nuovo mondo da scoprire

La missione, la premessa drammatica di Game of the year, è mostrare che c’è un nuovo modo di intrattenere. Esistono persone che si sforzano di portare nuovi contenuti, per non cristallizare il medium e così trovare una loro dimensione, un’oasi di felicità e, spesso, un riscatto sociale.

Il tono non è mai troppo malinconico o troppo ottimista, seppur si sbilanci in una fiducia verso il gaming: l’immagine è sempre vivace, piena di colore. Dopotutto, è un mondo osservato con un occhio fresco e giovane.

Sottolineiamo la frase del giovane sviluppatore che, dopo una festa con la sua collega, parlano del futuro con certo timore, sereni però all’idea di essersi trovati e di essere condannati a riuscirci. Bisogna sempre raccontare nuove storie di speranza e cambiamento, e il regista con la sua visione completa la missione regalandoci la panoramica di un nuovo mondo.


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Dal 1995 inseguo sogni e mostri. Che siano di plastilina o di pixel. Quando mi fermo scrivo poesie, giro qualche video e se riesco mi riposo cucinando una torta di ciliegie con un buona tazza di caffè, con un sottofondo di una colonna sonora sognante o di un album di Sting.

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