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Gli uccelli

Gli uccelli, compie 60 anni il capolavoro più pittorico e onirico di Hitchcock

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5 minuti di lettura

Sessant’anni fa usciva nelle sale italiane Gli uccelli, forse il primo film che racchiudeva dentro sé stesso il concetto di blockbuster, un enorme colossal atteso, bramato e aspettato dal mondo intero, ideato e costruito da un Alfred Hitchcock che tre anni prima, nel 1960, aveva stregato il mondo con Psyco e si era imposto come uno dei registi più importanti e influenti della storia del cinema.

Naturalmente, come ogni progetto che viene incasellato dopo uno dei maggiori successi della cinematografia mondiale, Gli uccelli viene ingabbiato e cannibalizzato dalle aspettative dei critici e le pretese del pubblico di ritrovare stilemi e concetti già conosciuti e già apprezzati. 

Il film, tratto dall’omonimo racconto di Daphne du Maurier pubblicato nel 1953, viene accolto tiepidamente, considerato come una semplice storia d’amore ostacolata da stormi di volatili violenti e rabbiosi, ma dentro il suo meccanismo contiene un universo conoscitivo che viene esplorato in una maniera cinematografica molto complessa e stratificata e solo a posteriori è stato valutato e considerato come uno dei più progetti importanti e significativi dell’immensa filmografia del regista britannico.

Gli uccelli è uno stratificato viaggio tra i generi

Gli uccelli

Una delle trovate più geniali di Gli uccelli è il viaggio eterogeneo che compie all’interno dei generi. Inizia come una commedia romantica sofisticata, vestita con movimenti narrativi che muovono l’affascinante Melania Davies (Tippi Hedren) da San Francisco alla cittadina marittima Bodega Bay per consegnare una coppia di pappagalli inseparabili al misterioso avvocato Mitch Brenner (Rod Taylor). 

Poi però il film si sposta verso un territorio thriller tinteggiato con sfumature mistery in un luogo dove gli uccelli prima colpiscono e feriscono, poi uccidono e mettono in ginocchio un’intera comunità che cerca di capire e di spiegarsi cosa stia realmente accadendo. Il lungometraggio si conclude trasformandosi in un vero e proprio film apocalittico, ai limiti della distopia, dove il mondo e le sue concezioni sociali vengono ribaltate in nome di un universo dominato dalla natura. 

Un saggio sociologico sull’essere umano

Gli uccelli

Hitchcock è diabolico e ingloba l’intero senso del film nei titoli di testa: degli uccelli che beccano e distruggono i nomi dei tecnici e degli attori. Non serve altro, solo mostrarlo e dilatarlo attraverso un arco, una storia capace di approfondire quel gesto di disfacimento e Hitchcock decide di metterla in scena come un quadro, senza musica tranne per qualche piccolo accenno e inondato dal suono roboante delle ali che sbattono e il canto arrabbiato dei volatili, come un sofisticato e stratificato saggio sociologico sull’essere umano, sul quale sia il suo vero posto all’interno del mondo. 

Gli uccelli analizza l’uomo attraverso un oggetto narrativo tra realtà e finzione, un pretesto che si muove tra i confini della logica, dell’irrazionalità, della pazzia e della coincidenza per far emergere il complesso ventaglio che la psiche umana può raggiungere. 

Il maestro del thriller sposta l’attenzione verso la natura, la traveste da grande omicida per far tremare l’essere umano, lo fa urlare senza voce, lo spaventa, lo fa scappare, lo mette alle strette, gioca costantemente con le sue paure e le sue idiosincrasie. 

Gli uccelli, invece di guardare la paura interna, si concentra sulla paura collettiva, con l’ambizione di racchiudere l’essenza dell’io in un’unica fotografia, una fotografia che però è impossibile da mostrare nel suo intero. E infatti Hitchcock non chiude il cerchio, la scritta Fine non arriverà mai, e la storia resta aperta, il destino dei personaggi in mano a un seguito che non arriva e non potrà mai arrivare, perché delimitare in qualcosa di concluso e finito la nostra imperfezione significherebbe eleggersi a esseri perfetti. E Hitchcock lascia il sipario aperto. 


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Il cinema e la letteratura sono gli unici fili su cui riesco a stare in equilibrio. I film di Malick, Wong Kar Wai, Jia Zhangke e Tarkovskij mi hanno lasciato dentro qualcosa che difficilmente riesco ad esprimere, Lost è la serie che mi ha cambiato la vita, il cinema orientale mi ha aperto gli occhi e mostrato l’esistenza di altre prospettive con cui interpretare la realtà. David Foster Wallace, Eco, Zafón, Cortázar e Dostoevskij mi hanno fatto capire come la scrittura sia il perfetto strumento per raccontare e trasmettere ciò che si ha dentro.

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